mercoledì 31 ottobre 2007

BAUDELAIRE

IL GATTO
Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l'agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere

la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
s'inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.
Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo,

amabile bestia, taglia e fende simile a un dardo,
e dai piedi alla testa un'aria sottile,
un temibile profumo
ondeggiano intorno al suo corpo bruno.
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TRISTEZZE DELLA LUNA
Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera:
come una bella donna su guanciali profondi,
che carezzi con mano disattenta e leggera
prima d'addormentarsi i suoi seni rotondi,
lei su un serico dorso di molli aeree nevi
moribonda s'estenua in perduti languori,
con gli occhi seguitando la apparizioni lievi
che sbocciano nel cielo come candidi fiori.
Quando a volte dai torpidi suoi ozi una segreta
lacrima sfugge e cade sulla terra,
un poeta nottambulo raccatta con mistico fervore
nel cavo della mano quella pallida lacrima
iridescente come scheggia d'opale
e, per sottrarla al sole, se la nasconde in cuore.

NON SO PIU' SCRIVERE D'AMORE

Non so più scrivere d’amore,
perché dell’amore ho dimenticato il senso
e non un volto serbo dentro
a curare mancanze antiche e ricorrenti.
Oggi tollero il digiuno senza chiedere
quando mi vestirò la pelle
d’odori sconosciuti che ad ogni respiro
rubano aria alla ragione.
Troppe volte ho creduto sole pugni di lucciole,
esibendo stendardi vanagloriosi,
saggiando poi quanto impietoso sia
il tempo dei rimpianti, e chi in principio
ispirò i miei versi vaga ora
per acque torbide di disillusioni,
come spoglia esanime che persino
una madre non potrebbe mai distinguere.
Non conosco del mio cuore
più di quanto esso lasci intendere
e se tace, allora riscoprirò Poesia
anche nel suono lieve di una foglia che cade.

SARA 2004


martedì 30 ottobre 2007

ALMENO VOI STELLE, NON DIMENTICATEMI

[...] " Non ci sarà dunque, per le cose che sono,
non la morte, bensì un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così come un perdono?"
( HO PENA DELLE STELLE - F.Pessoa)

Quando di me non saprà dire
che il vento o quanti per lui
mi sfilarono accanto nel clamore
di nostalgica vita andata,
e avrà smarrito la memoria
in ardua ricerca l’ umana sembianza
del mio essere stata,
allora non resterà che a me
ricordare quel grembo di mondo
che ospitò il passaggio lieve
a cui alcuno fece più ritorno.
Non vi sarà che cielo a raccogliere
i miei passi, terra senza orizzonte
a riempire gli sguardi.

Almeno voi stelle, non dimenticatemi.
SARA

IL VIOLINISTA PAZZO


Non fluì dalla strada del nord
nè dalla via del sud
la sua musica selvaggia per la prima volta
nel villaggio quel giorno.
Egli apparve all'improvviso nel sentiero,
tutti uscirono ad ascoltarlo,
all'improvviso se ne andò, e invano
sperarono di rivederlo.
La sua strana musica infuse
in ogni cuore un desiderio di libertà.
Non era una melodia,
e neppure una non melodia.
In un luogo molto lontano
in un luogo assai remoto,
costretti a vivere, essi
sentirono una risposta a questo suono.
Risposta a quel desiderio
che ognuno ha nel proprio seno,
il senso perduto che appartiene
alla ricerca dimenticata.
La sposa felice capì
d'essere malmaritata,
l'appassionato e contento amante
si stancò di amare ancora,
la fanciulla e il ragazzo furono felici
d'aver solo sognato,
i cuori solitari che erano tristi
si sentirono meno soli in qualche luogo.
In ogni anima sbocciava il fiore
che al tatto lacia polvere senza terra,
la prima ora dell'anima gemella,
quella parte che ci completa,
l'ombra che viene a benedire
dalle inespresse profondità lambite
la luminosa inquietudine
migliore del riposo.
Così come venne andò via.
Lo sentirono come un mezzo-essere.
Poi, dolcemente, si confuse
con il silenzio e il ricordo.
Il sonno lasciò di nuovo il loro riso,
morì la loro statica speranza,
e poco dopo dimenticarono
che era passato.
Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poichè la vita non è voluta,
ritorna nell'ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,
improvvisamente ciascuno ricorda -
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere -
la melodia del violinista pazzo.


F. Pessoa



"Mi perdo se mi incontro, dubito se trovo, non possiedo se ho ottenuto.Come se passeggiassi, dormo, ma sono sveglio.Come se dormissi, mi sveglio, e non mi appartengo.In fondo la vita è in se stessa una grande insonnia e c'è un lucido risveglio brusco in tutto quello che pensiamo e facciamo."
F.Pessoa




In qualche luogo i sogni diventeranno realtà.

C'è un lago solitario illuminato dalla luna

per me e per te come nessuno per noi soli.

Lì la scura bianca vela spiegata in un vago vento

non sentito guiderà la nostra vita-sonno

laddove le acque si fondono in un lido di neri alberi,

dove i boschi sconosciuti vanno incontro

al desiderio del lago di essere di più e rendono il sogno completo.

Là ci nasconderemo e svaniremo,

tutti vanamente al confine della luna,

sentendo che ciò di cui siamo fatti è stato qualche volta musicale.

( LICANTROPIA - F. Pessoa )

venerdì 26 ottobre 2007

LE SEDIE DI VAN GOGH






















La genesi dei dipinti è legata al corso del soggiorno di Van Gogh ad Arles.
Qui, infatti, l'artista trascorse un periodo in compagnia dell'amico e pittore Paul Gauguin, durante il quale accarezzarono l'idea di formare un circolo artistico d'avanguardia che avrebbe preso il nome di "Studio del Sud". In attesa di Gauguin ma anche in sua compagnia, Van Gogh si dedicò spesso alla raffigurazione di interni come "La camera di Vincent ad Arles":
- Sedia VAN GOGH ( V. Van Gogh - 1888)
- Sedia GAUGUIN ( Van Gogh - 1888 )
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Londra, The Trustees of the National Gallery
Il dipinto fa pendant con La sedia di Gauguin: quella di Van Gogh è collocata in una luce diurna, l’altra in un ambiente notturno. Così, nel dipinto con la sedia di Van Gogh appaiono una natura morta di cipolle in germoglio a sinistra e la pipa, mentre sulla sedia dell’amico sono dei libri e una candela, apparentemente inutile viste le lampade a gas che sono appese al muro. Mentre il pavimento della stanza di Van Gogh è di nudi mattoni rossi, a suggerire la propria natura severa e il carattere del suo studio che aveva arredato sobriamente, «alla Daumier», quello della stanza dell’amico - arredata da Vincent come «un boudoir per signora veramente artistico» - è ricoperto da un tappeto.In una lettera al critico Albert Aurier del 12 febbraio 1890 Van Gogh attribuiva al dipinto con la sedia di Gauguin un valore premonitore: «Qualche giorno prima di dividerci, allorché la malattia mi ha costretto a ricoverarmi in una casa di cura, ho tentato di dipingere “il suo posto vuoto”. È uno studio della sua poltrona di legno bruno-rossiccio, con il sedile in paglia verdastra, e - al posto dell’assente - un candelabro acceso e alcuni romanzi moderni».


MOSTRA DI GAUGUIN AL VITTORIANO:

THE COMPLETE POEMS


Invidio i Mari, sui quali Egli naviga
-Invidio i Raggi delle Ruote
Dei Carri, che Lo trasportano -
Invidio le Ondulate Colline
Che scrutano il Suo viaggio -
Com'è facile per tutti vedere
Quel che è proibito totalmente
Come il Cielo - a me!

Invidio i Nidi dei Passeri -
Che punteggiano le Sue remote Grondaie -
La Mosca opulenta, sui Suoi Vetri
-Le felici - felici Foglie -
Che appena oltre la Sua Finestra
Hanno dall'Estate il permesso di giocare
-Gli Orecchini di Pizarro
Non potrebbero ottenerlo per me -
Invidio la Luce - che Lo sveglia -
E le Campane - che suonano con forza
Per dirgli che è Mezzogiorno,
là fuori -Io stessa - fossi il Mezzogiorno per Lui -

Eppure precludo - la mia Fioritura
-E abolisco - la mia Ape -
Affinché il Mezzogiorno
nella notte eterna -
Non precipiti Gabriele - e me -

Emily Dickinson

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HO SOLO LE MIE PAROLE

Ho solo le mie parole,
un giorno qualunque
montate in sella al vento
per venirti a cercare
tra folle confuse di genti
che ora sanno di te,
per sempre perduto e rimpianto
in tacite sere d'inverno,
seduta al buio per soffocare
quell'ultimo brivido che ci lega.
Se mi leggessi l'anima
che detta versi disordinati,
aggrappata a lembi di cielo pensili
pur di sfiorare il tuo pensiero
diretto in volo chissà dove,
ti pulserei dentro come
desidero sia, ché sono per te
pause e boccate a cuore aperto
di fiato, malumori e gioie
che nemmeno credevo di poter sentire.
Ma forse, altri mormoreranno
le mie parole, che instancabili
seguitano a narrare
una fiaba senza lieto fine
incisa sulla bocca del vento
...per Gabriele e me.
SARA

NUVOLE...

Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa.
Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.
Nuvole… Corrono dall'imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all'avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l'ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.
Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto
sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso.
Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
Nuvole… Continuano a passare,alcune così enormi ( poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione ) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell'aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.
Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l'ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l'universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto.
Nuvole… Esse sono tutto,crolli dell'altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti.
Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l'oscurità, finzioni dell'intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.
Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.


LI,33 Fernando Pessoa

giovedì 25 ottobre 2007

RIMBAUD e VERLAINE : UNA STAGIONE ALL'INFERNO

« Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso, ragionato disordine di tutti i sensi. »

A. Rimbaud
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"Voglio essere poeta, e lavoro per rendermi veggente: Lei non comprenderà affatto, e io non sarei quasi in grado di spiegare. Si tratta di pervenire all’ignoto attraverso lo sregolamento di tutti i sensi. Enormi sono le sofferenze, ma bisogna essere forte, essere nato poeta, ed io mi sono riconosciuto poeta. Io non ne ho per niente colpa. È falso dire:Io penso. Si dovrebbe dire: Mi si pensa. Perdoni il gioco di parole.
IO è un altro."

( Lettera al Prof. Georges )


SENSAZIONE

Nelle azzurre sere d'estate,

io andrò per i sentieri,

punzecchiato dal grano,

a pestare l'erba minuta:

Sognatore, io ne sentirò la frescura ai piedi.

Io lascerò che il vento bagni il mio capo nudo.

Io non parlerò,

io non penserò a nulla:

ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,

e io andrò lontano, molto lontano,

come uno zingaro, nella Natura, -

felice come se fossi con una donna.

A. Rimbaud (Marzo 1870)


Il "grande e radioso peccato" ha occhi tersi e lucenti e le sembianze del ragazzo sporco e bellissimo. "Puzzava di genio", racconta chi ha potuto sfiorarlo. Quando Arthur Rimbaud, impolverato e ricco solo del suo tumultuoso talento, sbarca a Parigi, non ha ancora compiuto diciassette anni, ed è già fuggito di casa tre volte. Viaggia senza bagaglio e in tasca ha soltanto, spiegazzata, la lettera di Verlaine: " Venite, cara grande anima, vi chiamiamo, vi aspettiamo." gli aveva scritto il poeta in risposta a una missiva in cui il giovanissimo Rimbaud, traboccante d'ammirazione, gli chiedeva un incontro.


E' una domenica di settembre del 1871. Comincia quel giorno il più crudele e il più feroce dei ménage, fatto di turpidini, estasi, ricatti, fughe, ritorni, minacce di suicidio, carezze date col coltello. E colpi di pistola: " Ci amiamo come tigri"spiegherà Verlaine.Il devastatore della quiete famigliare ha "la faccia di bambola" e uno sguardo azzurro e alto, di una purezza inquietante. I capelli sono incolti, arruffati, sporchissimi, le mani arrossate, i pantaloni color lavagna troppo corti per un adolescente cresciuto in fretta. Verlaine s'innamora all'istante di quel "volto perfettamente ovale di angelo in esilio" , scriverà, e di quelle "potenti labbra rosse con la loro smorfia malevola".


Rimbaud suscita eccitazione febbrile quando mette piede per la prima volta in un cenacolo della Rive Gauche: "Si è esibito un poeta terrificante, meno che diciottenne, di nome Arthur Rimbaud. Grandi mani, grandi piedi, una faccia veramente da bambino che starebbe bene a un tredicenne, profondi occhi azzurri, selvaggio più che timido". Uno dei poeti presenti lo definisce:" Gesù in mezzo ai dottori". Un altro:"il diavolo!". "A me venne in mente una descrizione migliore:Satana in mezzo ai dottori." annota stupefatto Valade. Ma satana in mezzo ai dottori per Verlaine è una splendida figura da adorare e fra i due la passione divampa immediata. Un tormento per il poeta sposato, una forma di martirio volontario, un' ascesi, una disciplina estetica per il poeta fanciullo che gli consentirà di scrivere i suoi capolavori mantenendo limpida la propria innocenza.


Il loro amore è percorso da brividi di sadismo. Rimbaud, man mano che passano i mesi, sembra compiacersi di fare del male a Verlaine, terrorizandolo ed esaltandolo insieme. A un tavolino del Cafè du Rat Mort lo colpisce alle mani con un coltello affilato facendolo sangiunare copiosamente davanti a tutti. Uno dei giochi erotici che praticano a casa è la lotta armata: si affrontano ognuno munito di coltello avvolto in un asciugamano e il loro abbraccio è una morsa che si scioglie tra graffi e tagli sanguinanti: "Ci amiamo come tigri", ripete orgoglioso Verlaine maculato di lividi e di escoriazioni. Vivono in completa simbiosi: in quel periodo le loro calligrafie sono identiche; se sovrapposte addirittura coincidono. Sembrano essere scritte dallo stesso pugno ferito.


Fra alti e bassi, abissi di disperazione e sempre più rari lampi d'estasi, la situazione precipita nel luglio 1873 a Bruxelles, con un Verlaine che minaccia di ammazzarsi. Ha comprato un revolver ed è in un albergo con Rimbaud e sua madre. Il giovane poeta è stanco del rapporto vittima-cernefice, di quel vagabondare, stanco dell'instabilità di quella relazione, vuole andarsene, vuole finirla lì. Con un gesto di sfida annuncia al compagno che nel pomeriggio intende tornare da solo a Parigi. " Provati a uscire e vedrai quel che succede, t'insegno io a voler partire", Verlaine tira fuori la rivoltella ed esplode tre colpi contro Rimbaud. Il primo gli penetra il polso gli altri due si conficcano nella parete. Vedendo il fanciullo ferito solo leggermente, Verlaine gli mette in mano la pistola implorando di ammazzarlo. Lo calmeranno, si calmeranno, ma qualche ora più tardi ricomincia la tragedia. Verlaine minaccia di nuovo di sparare a Rimbaud in mezzo alla strada. Ora "l'angelo in esilio" ha paura davvero e chiede aiuto a un poliziotto. La vicenda si concluderà con l'incarcerazione di Verlaine condannato a due anni e nove giorni di ospedale per Rimbaud.


Dichiarazione di Rimbaud al commissario di polizia: http://www.arthurrimbaud.it/docum.html


Genio sull'orlo del baratro, a vent'anni dice per sempre addio alla letteratura. Non gli interessa più. Dopo aver spinto la parola ai suoi limiti estremi, il più scandaloso dei poeti maledetti, lascia, abbandona, cambia mestiere. Incontra per l'ultima volta Verlaine, da poco uscito di prigione, due anni più tardi a Stoccarda. In quell'occasione gli consegna il manoscritto che poi diventerà le : Illuminazioni. Verlaine lo farà pubblicare undici anni dopo ma Rimbaud non lo verrà mai a sapere.


LA PREGHIERA DELLA SERA


Vivo seduto, come un angelo

fra le mani d'un barbiere,

impugnando una tazza di birra dalle grosse

scannellature, tesi il collo e l'ipogastro,

con una pipa Gambier tra i denti,

sotto i cieli gonfi d'impalpabili vele.

Come escrementi caldi d'un vecchio colombaio,

mille sogni fanno in me dolci ustioni:

e, tratto tratto, il mio cuore triste

è come un alburno insanguinato

dall'oro giallo e cupo delle scolature.

Poi, quando ho ringhiottito

i miei sogni con cura, mi volgo,

dopo aver bevuto trenta o quaranta tazze,

e mi raccolgo per dar sfogo all'acre bisogno.


Mite come il Signore del cedro e degli issopi,

io piscio verso i cieli bruni,

molto in alto e lontano,

col consenso dei grandi eliotropi.

A. Rimbaud


"POETI DALL'INFERNO" ( film 1995 ):

http://www.ire-land.it/totaleclipse/home.html



mercoledì 24 ottobre 2007

PER SEMPRE TUO CYRANO


“Venite pure avanti voi, con il naso corto signori imbellettati,
io più non vi sopporto infilerò la penna ben dentro
al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio.
Venite pure avanti, poeti sgangherati inutili cantanti
di giorni sciagurati buffoni che campate di versi senza forza
avrete soldi e gloria, ma non avete scorza.
Godetevi il successo, godete finchè dura che il pubblico è ammaestrato
e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l’ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
però non la sopporto la gente che non sogna
io appello all’arrivismo, all’amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco
io non perdono, non perdono e tocco.
Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti,
politici rampanti venite portaborse, ruffiani, mezzecalze
feroci conduttori di trasmissioni false.
Che avete spesso fatto del qualunquismo un’arte coraggio liberisti,
buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto, assurdo belpaese.
Non me ne frega niente se anche io sono sbagliato
spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato
coi furbi e prepotenti da sempre mi balocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco
io non perdono, non perdono e tocco.
Ma quando sono solo, con questo naso al piede
e almeno di mezz’ora da sempre mi precede si spegne la mia rabbia,
ricordo con dolore che a me è quasi proibito il sogno di un amore.
Non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute
per colpa o per destino, le donne le ho perdute
e quando sento il peso d’essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo, e scrivendo mi consolo.
Ma dentro di me sento che il grande amore esiste
amo senza peccato, amo ma sono triste perché Rossana è bella,
siamo così diversi a parlarle non riesco, le scriverò dei versi
e parlerò coi versi.
Venite gente vuota, facciamola finita voi preti
che vendete a tutti un’altra vita se c’è come voi dite un Dio nell’infinito
guardatevi nel cuore, l’avete già tradito.
E voi materialisti col vostro chiodo fisso che Dio è morto
e l’uomo è solo in questo abisso le verità cercate per terra
da maiali tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali.
Tornate a casa nani, levatevi davanti per la mia rabbia enorme
mi servono giganti ai dogmi e pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco
io non perdono, non perdono e tocco.
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada
ma in questa vita, oggi, non trovo più la strada
non voglio rassegnarmi ad essere cattivo
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo.
Deve esserci lo sento, in terra, in cielo un posto dove non soffriremo
e tutto sarà giusto non ridere, ti prego, di queste mie parole
io sono solo un'ombra e tu Rossana il sole.
Ma tu lo so non ridi, dolcissima signora ed io non mi nascondo
sotto la tua dimora perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano
se mi ami come sono, per sempre tuo
per sempre tuo,
per sempre tuo Cyrano”

JACK VETTRIANO




NON HO DIMENTICATO COME SI GUARDA LA LUNA

Avevo occhi grandi e un libro di poesie
quando imparai a dare forma alle nuvole
e non mi era chiaro da dove venisse
tutta quella voglia di stelle,
ma sapevo sarebbe finita col raccontare
di strane storie dall’approdo lontano.

Non ho dimenticato d’allora
come si guarda la luna, solo vorrei
che non s’alzassero più cigni neri
a oscurare le geografie di quei viaggi
in sospensione d’anima e fiato,perchè
la vista non si ferisca al pellegrinare d’ombre.

Avessi ancora un’altra fiaba
da insegnarmi stanotte, mentre soffia
polvere di ricordi su ciglia chiuse al pianto,
m’inventerei di nuovo principessa
dagli occhi grandi tra pagine di poesie
a pochi passi dalle nuvole.
SARA

martedì 23 ottobre 2007

FIABA IN RIMA


Si trovava un gentil menestrello
Tra i ruderi solitari di un castello
E con il suo elegante liuto flautato
Narrava di un amore da poco sbocciato.

Di una fata del bosco e di un nobile di corte
Su magiche note intonava l’ infelice sorte
Così ogni creatura da tale canto affascinata
Si recò alle mura per udire la fiaba incantata.

Persino la luna che dormiva in cielo serena
Si destò all’udir di quella voce terrena
E scesa giù per ascoltare meglio
Donò a tutti un sì dolce risveglio…:

Un dì passeggiava sul suo cavallo bianco
Un coraggioso giovane dal viso stanco
E una graziosa fatina che discendeva la vallata
Ne rimase sull’istante stregata

Insieme ad elfi, folletti e curiosi spiritelli
Spiò dietro foglie e muschio quegli occhi tanto belli
Nessuno mai a tal punto l’aveva colpita
E tornata alla sua dimora ne rimase rapita.

Non avendo scoperto dove il bel giovane abitasse
Pregava sempre che quel sentiero riattraversasse
E così tanti struggenti lamenti al vento elargì
Che il Re degli gnomi in breve s’impietosì:

“Dimmi perché ti lagni amabile creatura
che posso fare io per porgerti la giusta cura?
“Un giovane bello e forte di qui un giorno è passato
e per l’eternità, ahimè, la mia anima ha catturato!”

“Ma non puoi avere l’ amore di un mortale,
questo desiderio ti recherà solo dolore e tanto male!”
“Non importa, oh mio Re, pretendo il suo cuore
a costo di suscitare un gran clamore…”

“Sei ingenua ma davvero molto coraggiosa
ebbene, ti aiuterò in quest’impresa pericolosa.”
“Ti prometto che non te ne pentirai mio piccolo Re
se mi esaudirai ogni genere di cosa farò per te!”

“Ebbene, al sorger del nuovo sole, ogni mattina
abbandonerai in un istante l’ aspetto di fatina
e un’affabile e cortese fanciulla diverrai
così il tuo affascinante giovane avere potrai.

Ma fa attenzione perché quando la luna splenderà
il tuo umano corpo di nuovo in fata si tramuterà!”
“Che sia, i miei fidati folletti troveranno la sua dimora
ed io sarò pronta ad una rapida partenza per allora.”

Così il Re degli gnomi sorridendo si allontanò
E la piccola fata di gioia pura per tutto il bosco saltellò.
Scoperto dopo poco il regno del giovane di corte
Subito la magica creatura andò incontro alla sorte.

Arrivata dinnanzi all’ingresso del castello
Vide nel giardino il suo cavaliere tanto bello
E grazie alla sua grande abilità
Riuscì ad introdursi con estrema facilità.

“Mia deliziosa dama dal nobile aspetto
per quale strada sei giunta al mio cospetto?”
“Ho percorso il sentiero che divide il bosco
ma non mi ha intimorita anche se di notte è assai losco!”

“Avrai sonno, sete e vorrai certamente riposare
entra nelle mie stanze e ti farò ristorare.”
Lusingata da tal galante e sincera preghiera
Si ritirò nei sui regali alloggi tutta fiera.

Di giorno trascorreva col suo innamorato
Ore tanto liete da non averlo mai sperato.
Di notte invece vagava sola, nascosta dalla luna
Per non perdere in sol momento la sua fortuna.

Come aveva dal primo giorno sognato
Aveva il suo amore facilmente conquistato.
Felici ed inseparabili si amavano alla follia
Tanto che lui le chiese “Vuoi esser solo mia?”

La fatina si accese in un istante di gioia pura
E rispose subito “Sì, certamente son sicura!”
Iniziarono a preparare dunque un ricco banchetto
Entrambi con un’immensa gioia nel petto.

Ma una notte il giovane di soprassalto si svegliò
E girandosi nel letto la sua amata non trovò.
Così talmente fu la sua curiosità
Che decise di seguirla nell’oscurità.

Si meravigliò di vederla tanto piccolina
Ma poi capì che era solo una fatina.
Furioso e deluso si mise a gridare:
“Guarda un po’chi stavo per sposare!”

“Per favore non fuggire, non t’ho ingannato
e’ da quel giorno nel bosco che t’ho amato!”
”Tu sei solo una creatura dell’umana fantasia
ed ora desidero che subito dal mio regno vada via!”

Così disse e correndo veloce si allontanò
E la piccola fata per tutta la notte si disperò.
Decise che non poteva vivere di quella vergogna
Ciò che aveva creduto possibile era solo menzogna.

Versò inconsolabili lacrime amare
Assai più acri della stessa acqua del mare.
Di nuovo il Re degli gnomi il suo pianto ascoltò
E mosso a compassione a lei si mostrò.

“Perché piangi fatina, cos’è capitato?”
“Il mio amore, ahimè, m’ha abbandonato!”
”Ha scoperto forse il nostro piccolo segreto?
Sapevi bene che appartenete a un diverso ceto!”

“Non posso vivere con questo immenso dolore
Ti prego piccolo Re salva il mio fragile cuore!”
Il Re commosso profondamente, trovò la soluzione
“Piccola Fata ti trasformerò in costellazione!”

Così fece e lassù nel cielo tra le stelle
Lei era sicuramente tra le più belle
Di sì tanta viva luce brillava
Che ogni uomo a guardarla s’incantava.

Ma il giovane innamorato presto si pentì
E dal castello in cerca della fatina partì.
La chiamò disperato per tutta foresta
Aveva veramente perso la testa.

E il Re degli gnomi che lo sentì gridare
Si avvicinò timoroso per potergli parlare:
“Giovane cavaliere chi vai cercando?
Se me lo sveli eseguirò ogni tuo comando.”

“Cerco l’amore vero di una piccola creatura
che senza capire ho cacciato dalle mie mura.”
“La creatura di cui parli so bene chi è
vieni con me e ti mostrerò dov’è.”

Il Re condusse il giovane su una rupe
Ed insieme contemplarono le stelle mute
“La tua fatina era così piena di dolore
all’idea di aver perso per sempre il tuo amore

che vedendola così addolorata
a giacere tra le stelle l’ho destinata.”
“Ma non posso vivere senza di lei, mio Re
ti prego trasforma in stella anche me.”

Il re pianse alla preghiera del giovane umano
E presa con forza la sua mano
Regalò anche a lui l’immortalità
E così tra le stelle s’amarono per l’eternità.

SARA 2004



MATILDA e ASTRID


Non ricordo quanto tempo sia trascorso da quel magico evento, credo anni, forse secoli, comunque troppi per ricordare con esattezza quanti, ma…

Una notte, la più affascinante ed incantevole tra le notti, il Mare, innamorato da sempre della candida Luna che in esso si specchiava imponente, decise di farla sua rendendola gravida.
Da quella fusione, fatta di luce e profondità, di magia e mistero, di calda passione e gelidi abissi, nacque una fanciulla dalla pelle bianca come colei che l’aveva generata, dai capelli color grano e gli occhi- mare quando inquieto s’ingrossa e sugli scogli violento s’infrange. Fu chiamata: Matilda.
In breve ella apprese l’arte della parola, le tecniche raffinate della seduzione , a temere ed amare le forze occulte che governano il cielo e la terra scoprendo i segreti che ogni divina creatura nasconde. Ed in fine le fu insegnato a danzare rivestita solo di nere e trasparenti vesti al suono di dolci melodie per la Luna sua madre.
Divenne Strega e seguì così il suo Destino.
Astrid, un gatto
con il mantello più scuro della nera notte, era il suo unico compagno, amico e confidente.
Lui la seguiva ovunque, l’avvertiva degli insidiosi pericoli, era il suo angelo maledetto, i suoi occhi nel buio delle tenebre, il suo allievo quando recitava formule magiche e preparava filtri d’amore.
La osservava, spiava ed amava segretamente.
Inseparabile e fedele si logorava dalla gelosia quando la vedeva giacere con gli uomini che lei sceglieva per soddisfare i suoi desideri carnali.
Dolorose ed infinite erano per lui le ore che lei trascorreva unendo la sua anima ad umani corpi.
Lui era sempre lì, attento e vigile,e lei lo sapeva. A volte, Matilda, godeva nel posare lo sguardo su di lui mentre si saziava di carne e piacere.
Leggeva attraverso i suoi felini occhi che per qualche inspiegabile ragione, Astrid soffriva.
Ma lei cercava Amore, la sua anima inquieta lo cercava in ogni luogo o persona che incontrasse. Sembrava essere quasi la sua unica ragione di vita, ma nessuno tra i tanti corpi sedotti, indossava quel volto.
E fu così, che una notte, la più tetra e triste tra le notti, degli uomini vennero a portarla via dalla sua casa per ordine della Gelosia - Donna feroce che divora a morsi le menti di coloro che la ospitano -.
Doveva bruciare, come tutte le streghe che si rispettino.
La sua carnefice, non sopportava l’idea che la giovane strega le avesse rubato il cuore di colui che amava, soggiogandolo.
Fu condotta nel punto più alto della città e legata ad un palo affinché tutti potessero assistere.
Da lassù, Matilda, poteva scorgere tra le lacrime, sua madre e suo padre rivolti verso lei per l’ultimo saluto in grida di dolore.
La Luna, si nascose dietro la Terra chiedendole conforto per non assistere a quell’orrore. Il Mare si gonfiò come mai prima di allora ostentando tutta la sua implacabile ira.
Lui, il suo gatto, l’accompagnò per tutto il tempo in silenziosa processione e come sempre si mise al suo fianco quasi per darle la mano, per farla morire in pace.
Le rosse fiamme iniziarono ad avvolgere con impeto il corpo della strega che ora bruciava della stessa passione che per tutta la vita aveva inseguito.
Ma proprio mentre il fuoco stava per giungere al suo volto, fissò per un’ ultima volta il suo compagno che per magia, nascosto dall’ombra della notte, in un istante si mostrò a lei sotto umane sembianze lasciandole ammirare il suo viso di forte ed affascinante giovane, ricoperto di pianto.
E proprio in quel breve-lungo istante ella riconobbe l’immagine che dalla nascita aveva sognato ed incastonato nella mente. Amore era sempre stato con lei e la sua ricerca- per ironia della Sorte- terminò nella Morte.

Prima di chiudere per sempre i suoi occhi, però, giurò che se non in questa, in un’altra vita l’avrebbe ritrovato dovunque fosse stato.
Avrebbe incessantemente continuato la ricerca di quel volto il cui ricordo avrebbe accompagnato il suo spirito da allora e per l’eternità.

SARA ( Ottobre 2004 )

venerdì 19 ottobre 2007

FORSE......IL SILENZIO

………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………sono di carta le mie parole……………………………………………………………………………………………………………………………………………………avessero ……………….respiro………………………………………………………………………..avessero colore…………………………………………………….una forma che lasci almeno intravedere il CUO - RE. ………………………………………………….sospiro ed esce male……………………………………….. male-veleno in questa gabbia di carne……….eppure l’anima…………………….da qualche parte …………. l’A-NI-MA…… ………..si tende alle nuvole…………….. solo silenzio tra me e il cielo adesso……………………… pur sempre un suono, il suono del non sentire ………………………………………………………………………………………..….spazio- vuoto………………………………………………………………………………………….vuoto di qualcosa………………………………………………………………………………………………………..qualcosa che non c’è……………distanza………………………la distanza è un non ritorno dal quale si può ricominciare………………………forse………………………………………………………………………………………………………………voglio il CUORE tra le parole………parole di carta.
Ho una sigaretta tra le labbra - da minuti - la stessa. Non l’accendo, resta lì…ferma…come ferma resto io. Ci vuole cuore tra le parole che dia senso e colore ai sospiri. Eppure l’anima, l’anima si tende alle nuvole. ...Ancora infinito silenzio tra me e il cielo. Adesso. Ma è pur sempre un suono - suono del non sentire. Anche se vuoto da forma a qualcosa che non c’è. Avessero respiro le parole uscirebbe fiato caldo nel gelo dentro.
Voglio CUO-RE - riprendo il mio. C'è ancora una sigaretta tra le labbra, la stessa. Non l’accendo, resta lì, ferma… e ferma resto io.
Un giorno, lo so, mi spegnerò con gli occhi nel cielo. Un leggero spicchio d'azzurro a riflettersi nell'iride fissa in quel punto.
Ho male-veleno nella mia gabbia di carne………………………………………….forse............................................................... un respiro……………………………………………………………………………………………………………………………un sospiro…………………………………………………una parola che spieghi il senso……………………………………………………………………………….................................
forse…………………………………………………………………..forse…………………………………………….....................................................
IL SILENZIO.

AMORE-BELLEZZA

"Se qualcuno, guardandosi dentro, scoprisse quanto povero sia e infinitamente misero di conseguenza il suo modo d'amare, si vergognerebbe di certo anche solo nel pronunciare la parola :Amore.
Ma non a tutti purtroppo è dato il ben dell'intelletto o un cuore vasto ( umano e saggio ) da toccare il senso di ciò che con orrore gli fugge dalle labbra nel momento in cui provano a riportarlo.
In loro è ormai la mediocrità del Sentimento e mai - e nemmeno a stento - potranno tenerlo per mano nella loro futile vita. Quello che crederanno vero sarà sempre e soltanto una sottile falce di luna piena - e di pena ne sorrido -.
E' in chi sa amare nella totale purezza - d'altronde - lo straordinario volto della Bellezza. "
SARA

giovedì 18 ottobre 2007

E LA CHIAMANO FOLLIA

ELOGIO DELLA FOLLIA
di Erasmo da Rotterdam

Parla la Follia

1. Qualsiasi cosa dicano di me i mortali - non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli - tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati di non so quale insolita ilarità. D'improvviso le vostre fronti si sono spianate, e mi avete applaudito con una risata così lieta e amichevole che tutti voi qui presenti, da qualunque parte mi giri, mi sembrate ebbri del nettare misto a nepènte degli Dèi d'Omero, mentre prima sedevate cupi e ansiosi come se foste tornati allora dall'antro di Trofonio. Appena mi avete notata, avete cambiato subito faccia, come di solito avviene quando il primo sole mostra alla terra il suo aureo splendore, o quando, dopo un crudo inverno, all'inizio della primavera, spirano i dolci venti di Favonio, e tutte le cose mutando di colpo aspetto assumono nuovi colori e tornano a vivere visibilmente un'altra giovinezza. Così col mio solo presentarmi sono riuscita a ottenere subito quello che oratori, peraltro insigni, ottengono a stento con lunga e lungamente meditata orazione.
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"...E adesso me la rido in barba al tempo a barba lunga col riso in bocca…
hai un gelato scusa?
Sì in tasca sotto il bottone della giacca dietro la schiena!
Che pena ho visto Giorgio per la strada con un filone di pane a elemosinare
un frutto…
forse mele magari pere ma io dico ciliegie, viola blu rosa! no, rosse come caramelle…


Che matto questo tempo un po’ del cazzo…!
Ho detto cazzo mica matto che sei pazzo?
Dicevo al tempo non a te brutto pazzo del cazzo!!
…Hai visto Lucia? Mi ha preso il gatto sotto braccio e s’è infilata in un buco in un giardino tutto verde… poveraccia crede ancora che i cavoli spuntino come le merende!


Lo pensavo io giorni fa che stava fuori…
fuori testa non fuori casa che sei pazza?
Fuori casa ci sto io… insieme a Giorgio…
senza frutto e col pane unto unto…
Giorgio è l’orologio che m’avverte di quanto tempo ho per ridere in barba al tempo…


poco poco…

i bambini fanno il girotondo intorno al mondo non lo so… giù per terra
cazzo no!!!

Lucia è fuori… fuori casa no… fuori testa…
non ha la chiave per entrare dentro


…la testa…
il gatto l’ha mangiata sottoterra con un cavolo per capello!!


Oggi è bello! Prendo l’ombrello bucato che ci passa un po’ di sole…
…sole- note…note^ sole…e fischietto per la via con

l’ombrello, il sole e Lucia!

Hai visto Giorgio?
Giorgio è l’orologio che m’avverte del tempo che mi resta
per ridere in barba al tempo col riso in bocca…
tutta storta!!!

E Lucia?
Lucia è la vicina di casa mia…
…fuori testa non fuori casa…..che sei pazza?

…Lucia è la vicina ….

troppo...
troppo vicina a casa mia….

e la chiamano Follia."

SARA

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68. Dimentica di me stessa, ho passato da un pezzo i limiti. Tuttavia, se vi pare che il discorso abbia peccato di petulanza e prolissità, pensate che chi parla è la Follia, e che è donna. Ricordate però il detto greco: "spesso anche un pazzo parla a proposito"; a meno che non riteniate che il proverbio non possa estendersi alle donne.
Vedo che aspettate una conclusione: ma siete proprio scemi, se credete che dopo essermi abbandonata ad un simile profluvio di chiacchiere, io mi ricordi ancora di ciò che ho detto. Un vecchio proverbio dice: "Odio il convitato che ha buona memoria". Oggi ce n'è un altro: "Odio l'ascoltatore che ricorda". Perciò addio! Applaudite, bevete, vivete, famosissimi iniziati alla Follia.

AVVOCATI D'AMERICA


- Dunque dottore, non è forse vero che quando una persona muore mentre dorme, non se ne rende conto fino al mattino?

- Era presente quando le scattarono questa sua fotografia?

- Il figlio più giovane, quello di vent'anni, quanti anni ha?


- Era da solo o era solamente lei?

- Si tratta dello stesso naso che si è rotto da piccolo?


- Fu lei o suo fratello a morire in guerra?

- Vi ha ucciso?

- Quanto erano distanti i veicoli al momento della collisione?

- Lei era lì finche non se ne è andato, giusto?

- Quante volte si è suicidato?



L: È vissuto in questa città per tutta la vita?
W: Non ancora.

A: Così, la data di concepimento (del bambino) fu l'8 di Agosto?
T: Sì.
A: E che cosa stava facendo in quel momento?

A: Lei ha tre figli, giusto?
T: Sì.
A: Quanti sono maschi?
T: Nessuno.
A: Qualcuno di loro è femmina?

A: Lei dice che le scale andavano giù fino al piano terra
T: Sì.
A: E queste scale, tornavano anche su?

A: Signor Slatery, lei ha avuto una luna di miele particolare, vero?
T: Sono andato in Europa.
A: E ci ha portato la sua nuova moglie?

A: Da che cosa è stato interrotto il suo primo matrimonio?
T: Dalla morte.
A: E dalla morte di chi è stato interrotto?

A: Può descrivere l'individuo?
T: Era di media altezza e aveva la barba.
A: Si trattava di un maschio o di una femmina?

A: La sua presenza qui questa mattina è dovuta alla notifica di deposizione che ho recapitato al suo avvocato?
T: No, così è come mi vesto quando vado a lavorare.

A: Dottore, quante autopsie ha eseguito su persone morte?
T: Tutte le mie autopsie sono eseguite su persone morte!

A: Tutte le tue risposte devono essere orali, OK? Che scuola frequenti?
T: Orali.

A: Si ricorda l'ora in cui ha esaminato il corpo?
T: l'autopsia è iniziata attorno alle 20:30
A: E il signor Dennington era morto?
T: No, idiota, era sdraiato sul tavolo desideroso di sapere perché gli stavo facendo un autopsia!

A: Può fornirci un campione di urina?
T: Lo posso fare sin da quando ero piccolo!

A: Dottore, prima di eseguire l'autopsia, ha controllato la presenza del battito cardiaco?
T: No.
A: Allora ha controllato la pressione del sangue?
T: No.
A: Ha controllato se respirasse?
T: No.
A: Allora è possibile che il paziente fosse vivo quando ha cominciato l'autopsia?
T: No.
A: Come puo esserne così sicuro, dottore?
T: Perché il suo cervello era in un contenitore sulla mia scrivania.
A: Ma è tuttavia possibile che il paziente possa essere stato ancora vivo?
T: Sì, è possibile che fosse vivo e che stesse facendo l'avvocato da qualche parte!

mercoledì 17 ottobre 2007

ERA POESIA ANCHE QUELLA

Erano gli anni delle bambole
di pezza da stringere al petto e cullare
in un lento, con te, che a sera
indovinavi la forma delle nuvole
già spiando stelle tra una fessura
e l’altra d’indaco appena scoperta,
che se ci ripenso era poesia anche quella.
Avevo le tue mani per sperare
in un angolo di terra più morbido,
benedetto da Dio, che le stagioni
non consumano o mutano piano,
perché non è l’addio a ferire
ma il non averti amato in tempo.

Erano, fossero sempre quegli anni,
dei tuoi occhi di cielo ombrati
da malinconia all’eco di un ricordo lontano,
troppo per non morirci dentro sognando…
E adesso tra i ricordi sono io a frugare,
sino a riviverti com’eri, sino al tuo ultimo respiro
che ancora conservo come la cosa più cara che ho.
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Nell'anniversario della morte di mia nonna ( 17/10/03 ).
Con tutto l'amore che posso.
Tua
Sara

MARILYN MONROE - Norma Jeane Baker

Trentacinque anni
vissuti con un corpo estraneo
trentacinque anni
con i capelli tinti
trentacinque anni
con un pupazzo.
Ma io non sono Marilyn
io sono Norma Jean Baker.
Perchè la mia anima
vi fa orrore come gli occhi
dei rospi sugli argini dei fossi?
(1961)

E' FEROCE LA META' DI ME (CRISalide)


E’ feroce la metà di me
rannicchiata nella schiena
d’una bambola di pezza,
aghi a scalfire palpebre
socchiuse nel buio.

Fossi un prestigiatore
farei delle tue parole
un giaciglio per le allodole, dove
il mio corpo di cuculo s’adagerebbe, scacciandoti
per poi venirti a cercare …

Ridi pure del mio scrivere,
del mio esistere, ridi e taci,
che se scrivo parlo di te,
dei tuoi silenzi immensi
a nascondersi dentro i miei.

Taci e sorreggimi i passi
incerti, gli sguardi perduti
dentro mani sporche d’olio
e fumo, quanto il mio fiato
dietro un viso artefatto
che implora aiuto senza voce …

Io sono Viola per me stessa
e per chi mi ama, parca di gesti,
non di parole e poesia,
fiore di spine cresciuto
nei tuoi anfratti

prestigiatore feroce,
bambola scucita,
Rosa impazzita …

(CRISalide - Lorella De Bon)

http://www.terresommerse.it/shop/index.php?productID=11

Grazie di essere stata mia Maestra e avermi "insegnato la Poesia", tanto tempo fa...


Sara

lunedì 8 ottobre 2007

SCORPIO ( TRA ALFA e OMEGA )

Un giorno uno scorpione, volendo attraversare un fiume e non sapendo nuotare, chiese aiuto alla rana: "Portami all'altra riva sul tuo dorso, non ti farò alcun male" - disse - e la rana accettò. Ma, giunti proprio in mezzo al fiume, lo scorpione all'improvviso morse la rana con la sua coda avvelenata. "Ma perché l'hai fatto? Anche tu morirai con me!" disse la rana agonizzando. E lo scorpione: "Lo so, ma non posso farne a meno, questa è la mia natura".

ELEMENTO: Acqua

PIETRA: Rubino

FIORE: Tuberosa

PROFUMI: Menta

COLORE: Rosso scuro o viola

GIORNO "IN": Martedì ( governato da Marte )

PREGI: Intelligenza acuta, magnetismo, fascino, spirito combattivo.

DIFETTI: Aggressività, introversione, sarcasmo.

Niente descrive meglio lo Scorpione dell'animale che lo rappresenta: un animale tra i più antichi e resistenti del nostro pianeta, che quando si muove, in modo così strano e storto, sembra a disagio nella sua nera corazza. Un animale che vive di notte e rifugge il sole nascondendosi tra le fessure, capace di dare la morte col suo veleno.Altre parole chiave per comprendere lo Scorpione: inquietudine, possesso, lotta, comando, sensibilità (anche paranormale), fascino, mistero, segretezza, aggressività autodistruttiva, introversione, sensualità, notte.A detta di molti astrologi, è il segno più controverso e tormentato, perché in rapporto con le forze distruttive, ma anche rigeneratrici, della morte, simboleggiate dal pianeta Plutone. E' considerato un segno negativo, ma, poiché non esiste male senza bene, ha in sé anche le potenzialità della completa, luminosa (ma tormentatissima) metamorfosi.Non è affatto semplice descrivere questo segno in tutte le sue numerosissime sfaccettature: qui segnaliamo le principali e più tipiche. La persona Scorpione non ha mai un carattere facile: Marte la rende testarda, aggressiva e disubbidiente fin da bambina, esigente e ribelle da adulta, in fondo mai contenta, mai soddisfatta di ciò che ha o è. Non si fa influenzare da nessuno, a costo di commettere grossi errori, e non vuole essere guidata da nessuno (che siano i genitori, il partner, o l"autorità" sotto qualunque forma). Ha sempre un atteggiamento un po' polemico e non conosce, per esempio, il compromesso e la diplomazia della Bilancia: non è una persona solare, né socievole, anzi è estremista e non "comprabile" con blandizie varie. Le sue simpatie e antipatie sono molto forti. E' quindi difficile trattare con lei, figuriamoci tenerle testa!Pur non cercando in modo particolare il consenso o l'attenzione del prossimo, lo Scorpione esercita molto fascino e influenza sugli altri, perché è intrigante e per così dire "affabulatore". Non si sa come, dà sempre la sensazione che ci sia qualcosa di segreto e misterioso in tutto quello che fa o dice. Ha molto fiuto psicologico (a volte anche sensibilità paranormale), una lucidità e una intelligenza quasi diaboliche, che gli permettono di capire al volo, d'istinto (e assolutamente NON per calcolo), come trattare o sedurre la persona che gli sta di fronte. La cosa più difficile è comprenderla, perché spesso la persona Scorpione ha opinioni, azioni e modi di concepire la vita del tutto stravaganti o complicati o comunque "diversi" dalla norma: ha dentro di sé tutto un mondo nascosto e inquieto, paragonabile ad una grotta sotterranea piena di chissà quali istinti e passioni. Moltissimi Scorpioni hanno, in un modo o nell'altro, una "doppia vita", sono come il Dottor Jekill e Mr. Hyde.Da quanto detto emerge che lo Scorpione è innanzitutto ISTINTO puro, non mediato dalla ragione, non domato, istinto quindi cieco, anche pericoloso per sé stesso se non corretto o instradato in qualche modo. E qui veniamo al nucleo della sua personalità: lo Scorpione è, infatti, per natura fatalmente e passionalmente attratto da tutto quanto è rappresentato da Plutone, che è cioè terreno, materiale, sensuale, e quindi anche dai piaceri e dai vizi; è lì che lo dirige il suo istinto, ama pescare nel torbido, sotto qualunque forma; sa che ciò è pericoloso e può condurlo in qualche abisso, ma non può farne a meno, come dice la storiella che ho citato sopra, perché è la sua natura. E' per primo affascinato da sentimenti distruttivi e autodistruttivi in assoluto il segno più vendicativo, e in certi casi crudele, dello zodiaco anche se poi è capace di esprimere una dolcezza davvero fuori dal comune), a volte soffre un certo sado - masochismo che è più forte d'ogni sua resistenza razionale. E' anche molto attratto dal sesso, la dimensione istintiva e "animalesca" per eccellenza, a volte in modo quasi patologico (per esempio, può esserne un consumatore sfrenato, oppure esserne terrorizzato e spaventato: comunque nella sua vita non potrà prescindere da quest'elemento).Ma lo Scorpione, calato com'è in una dimensione così istintiva e sensuale, proprio per questo sente come pochi altri segni il contrasto tra il Bene e il Male in ogni azione che compie; pur non riuscendo spesso a dominarsi, vittima dei suoi stessi istinti, egli tuttavia percepisce pienamente una dimensione di vita più alta, elevata, più staccata dalla materia, più spirituale. Da questa consapevolezza, unita alla sua combattività e alla sua sete di conoscenza, lo Scorpione può trovare, se lo vuole, la forza per riscattarsi e per migliorarsi. Se lo Scorpione è stato spesso raffigurato come il Diavolo, questo è solo un estremo del tipo Scorpione: al polo opposto, troviamo alcuni dei più grandi asceti, Santi e mistici, che hanno lottato tutta la vita per migliorarsi e assimilarsi ad una dimensione superiore, in questo senso, lo Scorpione è stato raffigurato nell'astrologia di tutti i tempi anche come un'Aquila, animale dal volo e dall'altezza irraggiungibili.Il personaggio che simboleggia meglio la complessità e la potenziale fecondità di questo segno è Maria Maddalena, prostituta e peccatrice, che superando se stessa divenne una delle persone più care e vicine a Gesù.
Ho riscontrato spesso due tipi principali di donna Scorpione: uno, più esteriorizzato, più appariscente (abbigliamento sensuale, femminile, occhi e bocca molto truccati, atteggiamento sicuro e aggressivo, competitivo e seduttivo), e l'altro invece quasi all'opposto, simile al tipo Vergine (la persona è quasi dimessa, o assolutamente semplice, non curata, apparentemente timida e indifesa: non bisogna farsi ingannare, perché in questo caso tutte le sue caratteristiche "covano" sotto le innocue apparenze!! In ogni caso, tutte le donne scorpioniche, anche loro malgrado, suscitano passioni e reazioni forti, scompigliano matrimoni (le cosiddette "rovinafamiglie"), amano la notte o le cose proibite o nascoste, sono un po' viziose, creano litigi o scandali sul lavoro o in società, sono insomma il prototipo di quanto la gente "normale" condanna. O più semplicemente, la loro vita è piena di colpi di scena, uomini, traumi, situazioni intricate o ambigue, lotte continue, che sfinirebbero chiunque, ma che per uno Scorpione sono indispensabili come l'aria! Una delle parole d'ordine dello Scorpione è certamente "passione", presente in ogni cosa che fa, nel bene e nel male: si può dire che egli "soffre" le cose, non le vive. Altra parola importante: "lotta".Gli uomini Scorpione, analogamente, sono sensuali, volitivi, molto "maschi", dallo sguardo incantatore, affascinanti e forti, ma anche inquieti e angosciati, possessivi e gelosi in modo quasi patologico. Vivono, come le donne, l'amore e i sentimenti senza mezze misure, e non sopportano i tradimenti, pur essendone loro stessi causa, o comportandosi a volte in modo considerato immorale. Vivono spesso, tra le tante, la contraddizione di essere gelosi e infedeli al tempo stesso. Come le donne, nella coppia (e nella vita) tendono a comandare. Uomini e donne sono anche molto vendicativi e capaci di portare rancore, iracondi, velenosissimi se vogliono demolire qualcuno. In qualunque situazione sono dei detective nati. Il loro nemico assoluto è la noia: cercano sempre la competizione e le novità, non amano la vita banale e agiata, hanno il gusto per le cose piccanti e inconsuete.Nel lavoro lo Scorpione dà il massimo, e sfoga tutta la sua ambizione e la sua tendenza al comando, dimostrandosi anche un po' tiranno; conformemente a tutta la simbologia legata a questo segno e ai pianeti Marte e Plutone, professioni e attività che si addicono allo Scorpione sono: posti di responsabilità e di dirigenza, medicina, chirurgia, tutte le attività in cui è necessario maneggiare strumenti affilati e taglienti, attività sportive, militari o poliziesche. Psicologia e psichiatria, occultismo, magia, tutte le attività che esplorano il nascosto e affondano in profondità (dal minatore allo speleologo, al ricercatore di dimensioni paranormali). Investigazioni private, criminologia, giornalismo nero; archeologia, scavi, e tutte le professioni legate alla morte (operatori dei cimiteri), e alla vita (ginecologi, ostetriche).