mercoledì 27 febbraio 2008

SOLO OGGI HO RITROVATO ALICE



E si dice sempre che

domani è un altro poi.


Ci credereste?

Io i miei pensieri

ce li ho che vanno avanti

a fisarmonica.

Prima stretti, poi slegati.

E poi silenzi gonfi d’aria.

Quelli che dentro il tempo

ci cova le sue larve d’ozio.

Ché magari quando non è così

mi ritrovo col gomito

che svolta su un foglio bianco

a schizzi del mio non so che dire.

Come lo voglio.


Vi dico che un giorno

conoscevo Alice e

il suo viso di gesso.

Il suo passo al trotto dietro

un coniglio tutto bianco.

Fuori orario.

E non c’erano sorrisi che si sciupassero

girando i pollici nel vuoto.

Ci credeva, lei, che da una fiaba

ne entri ed esci quando vuoi,

e che domani è sempre un altro poi.


E poi. E poi l’ho persa.

Chissà quando. Chissà dove.

Negli anni che t’ingialliscono

la vita di ventiquattro in ventiquattro.


E poi…Ci credereste?

Vi dico che solo oggi ho ritrovato Alice.

Inseguita da un coniglio bianco.

Fuori orario.

Col suo passo stanco a cercare invano.

Lontana da un paese strano.

Senza più incanto nè meraviglie.

martedì 26 febbraio 2008

L'AMORE HA SETTE VITE COME I GATTI

Dovevo saperlo che l’amore
ha sette vite come i gatti.
Forse all’ennesima frustata di vento
mi sarei accucciata da rea bambina
a succhiare il pollice aspettando perdono.
E invece, per me la vita ha sempre avuto
quel sapore di cioccolata proibito
in un vasetto sotto gli occhi di tutti
e per il gusto di pochi .
Dovevo capirlo quando in principio
dio creò la donna
che l’uomo era la metà
di una mela acerba
e io non ho più denti buoni.
Allora mi dico che un giorno
qualcuno verrà a servirsi morbido
alla mensa dei miei avanzi,
e sarà il settimo.
L’ultimo a contarmi le vite
sul binario morto del cuore.

lunedì 25 febbraio 2008

A FRANCESCA E ALLE NOSTRE SERATE MONDANE...




"Se per caso cadesse il mondo io mi sposto un pò più in là



sono un cuore vagabondo che di regole non ne ha



la mia vita è un roulette i miei numeri tu li sai



il mio corpo è una moquette dove tu ti addormenterai.



Ma girando la mia terra io mi sono convinta che



non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è.



Com’è bello far l’amore da Trieste in giù



com’è bello far l’amore io son pronta e tu...



tanti auguri, a chi tanti amanti ha



tanti auguri, in campagna ed in città.



Com’è bello far l’amore da Trieste in giù



l’importante farlo sempre con chi hai voglia tu



e se ti lascia lo sai che si fa...



trovi un altro più bello, che problemi non ha.


Tutti dicono che l’amore va a braccetto con la follia



ma per una che è già matta tutto questo che vuoi che sia



tante volte l’incoscienza è la strada della virtù



litigare, litigare per amarsi sempre di più.



Ma girando la mia terra io mi sono convinta che



non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è.



Com’è bello far l’amore da Trieste in giù



com’è bello far l’amore io son pronta e tu...



tanti auguri, a chi tanti amanti ha



tanti auguri, in campagna ed in città.



Com’è bello far l’amore da Trieste in giù



l’importante farlo sempre con chi hai voglia tu



e se ti lascia lo sai che si fa...trovi un altro più bello,



che problemi non ha.



Com’è bello far l’amore da Trieste in giù



com’è bello far l’amore io son pronta e tu...



tanti auguri, a chi tanti amanti ha



tanti auguri, in campagna ed in città.



Com’è bello far l’amore da Trieste in giù



l’importante farlo sempre con chi hai voglia tu



e se ti lascia lo sai che si fa...trovi un altro più bello,



che problemi non ha.



trovi un altro più bello,



che problemi non ha.



trovi un altro più bello, che problemi non ha... "

venerdì 22 febbraio 2008

CARILLON ( Col mio sorriso di plastica )



Che poi tra le mie dita
e questo specchio
ci corre proprio un soffio,
e sempre stesse note
mi danzano lo sguardo
visitando cipria e preziosi.
Non avrei mai creduto
al cielo se non fosse per
poca luce a disegnarsi
su pareti di smalto blu.
Mi hai visto le gambe?
Imitano un passo immobile
in gesti di grazia,
che a seguirli ti fanno
gli angoli della bocca aperti
al rosso dei baci,
lì fuori.
E io ci sono domani,
e domani ancora
se vorrai sempre le stesse note
ad accompagnarti le sere

in una scatola buia
col mio sorriso di plastica
.

giovedì 21 febbraio 2008

K. GIBRAN - IL PROFETA

SULLA PAROLA
E allora uno studioso disse: Spiegaci la Parola.
E lui rispose dicendo: Voi parlate quando avete perduto la pace con i vostri pensieri;
E quando non potete più sopportare la solitudine del cuore voi vivete sulle labbra, e il suono vi è di svago e passatempo. E molte delle vostre parole quasi uccidono il pensiero, Poiché il pensiero è un uccello leggero che in una gabbia di parole può spiegare le ali, ma non prendere il volo. Tra voi vi sono quelli che cercano uomini loquaci per timore di restare soli. Il silenzio della solitudine mette a nudo il loro essere, ed essi vorrebbero fuggirlo. E vi sono quelli che, senza consapevolezza o prudenza parlano di verità che non comprendono. E quelli invece che hanno dentro di sé la verità, ma non la esprimono in parole. Nel loro petto lo spirito dimora in armonico silenzio. Quando per strada o sulla piazza del mercato incontrate un amico, lasciate che lo spirito vi muova le labbra e vi guidi la lingua. Lasciate che la voce della vostra voce parli all'orecchio del suo orecchio; Poiché custodirà nell'anima la verità del vostro cuore come si ricorda il sapore del vino.
Quando il colore è dimenticato e la coppa è perduta.
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SUL DOLORE
E una donna disse: Parlaci del Dolore.
E lui disse: Il dolore è lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra conoscenza. Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi affinché il suo cuore possa esporsi al sole, così voi dovete conoscere il dolore. E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia per i prodigi quotidiani della vita, il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia; Accogliereste le stagioni del vostro cuore come avreste sempre accolto le stagioni che passano sui campi. E veglieresti sereni durante gli inverni del vostro dolore. Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi. E' la pozione amara con la quale il medico che è in voi guarisce il vostro male. Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenità e in silenzio. Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta dalla tenera mano dell'Invisibile, E la coppa che vi porge, nonostante bruci le vostre labbra, è stata fatta con la creta che il Vasaio ha bagnato di lacrime sacre.
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SULLA CONOSCENZA
E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza. E lui rispose dicendo: Il vostro cuore conosce nel silenzio i segreti dei giorni e delle notti. Ma il vostro orecchio è assetato dal rumore di quanto il cuore conosce. Vorreste esprimere ciò che avete sempre pensato. Vorreste toccare con mano il corpo nudo dei vostri sogni. Ed è bene che sappiate: La fonte nascosta della vostra anima dovrà necessariamente effondersi e fluire mormorando verso il mare; E il tesoro della vostra infinita profondità si mostrerà ai vostri occhi; Ma non con la bilancia valuterete questo sconosciuto tesoro; E non scandaglierete con asta o sonda le profondità della vostra conoscenza. Poiché l'essere è un mare sconfinato e incommensurabile. Non dite: "Ho trovato la verità", ma piuttosto, "Ho trovato una verità". Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima", ma piuttosto, "Ho incontrato l'anima in cammino sul mio sentiero". Poiché l'anima cammina su tutti i sentieri. L'anima non procede in linea retta, e neppure cresce come una canna.
L'anima si schiude, come un fiore di loto dagli innumerevoli petali.

martedì 19 febbraio 2008

BELFAGOR


...di Niccolò Machiavelli

Leggesi nelle antiche memorie delle fiorentine cose come già s'intese, per relatione, di alcuno sanctissimo huomo, la cui vita, apresso qualunque in quelli tempi viveva, era celebrata, che, standosi abstracto nelle sue orazioni, vide mediante quelle come, andando infinite anime di quelli miseri mortali, che nella disgratia di Dio morivano, all'inferno, tucte o la maggior parte si dolevono, non per altro, che per havere preso moglie essersi a tanta infelicità condotte. Donde che Minos et Radamanto insieme con gli altri infernali giudici ne havevano maravigla grandissima. Et, non potendo credere, queste calunnie, che costoro al sexo femmineo davano, essere vere, et crescendo ogni giorno le querele, et havendo di tutto facto a Plutone conveniente rapporto, fu deliberato per lui di havere sopra questo caso con tucti gl'infernali principi maturo examine, et piglarne dipoi quel partito che fussi giudicato miglore per scoprire questa fallacia, o conoscerne in tutto la verità. Chiamatogli adunque a concilio, parlò Plutone in questa sentenza: «Anchora che io, dilettissimi miei, per celeste dispositione et fatale sorte al tutto inrevocabile possegga questo regno, et che per questo io non possa essere obligato ad alcuno iudicio o celeste o mondano, nondimeno, perché gli è maggiore prudenza di quelli che possono più, sottomettersi più alle leggi et più stimare l'altrui iuditio, ho deliberato essere consiglato da voi come, in uno caso, il quale potrebbe seguire con qualche infamia del nostro imperio, io mi debba governare. Perché, dicendo tucte l'anime degli huomini, che vengono nel nostro regno, esserne stato cagione la moglie, et parendoci questo impossibile, dubitiamo che, dando iuditio sopra questa relatione, ne possiamo essere calunniati come troppo creduli, et, non ne dando, come manco severi et poco amatori della iustitia. Et perché l'uno peccato è da huomini leggieri, et l'altro da ingiusti, et volendo fuggire quegli carichi, che da l'uno et l'altro potrebbono dependere, et non trovandone il modo, vi habbiamo chiamati, acciò che, consiglandone, ci aiutiate et siate cagione che questo regno, come per lo passato è vivuto sanza infamia, così per lo advenire viva».


Parve a ciascheduno di quegli princìpi il caso importantissimo et di molta consideratione; et, concludendo tucti come egli era necessario scoprirne la verità, erano discrepanti del modo Perché, a chi pareva che si mandassi uno, a chi più nel mondo, che sotto forma di huomo conoscessi personalmente questo vero; a molti altri occorreva potersi fare sanza tanto disagio, costringendo varie anime con varii tormenti a scoprirlo. Pure, la maggior parte consiglando che si mandassi, s'indirizorno a questa opinione. Et non si trovando alcuno, che voluntariamente prehendessi questa impresa, deliberorno che la sorte fussi quella che lo dichiarassi. La quale cadde sopra Belfagor arcidiavolo, ma per lo adietro, avanti che cadessi di cielo, arcangelo. Il quale, anchora che male volentieri piglassi questo carico, nondimeno, constretto da lo imperio di Plutone, si dispose a seguire quanto nel concilio si era determinato, et si obligò a quelle conditioni che infra loro solennemente erano state deliberate. Le quali erano: che subito a colui che fussi a questa commissione deputato fussino consegnati centomila ducati, con i quali doveva venire nel mondo, et sotto forma di huomo prender moglie et con quella vivere dieci anni, et dipoi, fingendo di morire, tornarsene, et per esperienza fare fede a i suoi superiori quali sieno i carichi et le incommodità del matrimonio. Dichiarossi anchora che durante detto tempo ei fussi sottoposto a tucti quegli disagi et mali, che sono sottoposti gli huomini et che si tira drietro la povertà, le carcere, la malattia et ogni altro infortunio nel quale gli huomini incorrono, excepto se con inganno o astuzia se ne liberassi.


Presa adunque Belfagor la condizione et i danari, ne venne nel mondo; et ordinato di sua masnade cavagli et compagni, entrò honoratissimamente in Firenze; la quale città innanzi a tucte l'altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva più atta a sopportare chi con arte usurarie exercitassi i suoi danari[...] Et, factosi chiamare Roderigo di Castigla, prese una casa a ficto nel Borgo d'Ognisanti; et perché non si potessino rinvenire le sue conditioni, dixe essersi da piccolo partito di Spagna et itone in Soria et havere in Aleppe guadagnato tucte le sue facultà; donde s'era poi partito per venire in Italia a prehender donna in luoghi più humani et alla vita civile et allo animo suo più conformi. Era Roderigo bellissimo huomo et monstrava una età di trenta anni; et havendo in pochi giorni dimostro di quante richeze abundassi et dando essempli di sé di essere umano et liberale, molti nobili cittadini, che havevano assai figlole et pochi danari, se gli offerivano. Intra le quali tucte Roderigo scelse una bellissima fanciulla chiamata Onesta, figluola di Amerigo Donati, il quale ne aveva tre altre insieme con tre figluoli maschi tucti huomini, et quelle erano quasi che da marito; et benché fussi d'una nobilissima famigla et di lui fussi in Firenze tenuto buono conto, nondimanco era, rispetto alla brigata havea et alla nobilità, poverissimo. Fecie Roderigo magnifiche et splendidissime noze, né lasciò indietro alcuna di quelle cose, che in simili feste si desiderano. Et essendo, per la legge che gli era stata data nello uscire d'inferno, sottoposto a tucte le passioni humane, subito cominciò a piglare piacere degli honori et delle pompe del mondo et havere caro di essere laudato intra gli huomini, il che gli arrecava spesa non piccola. Oltr'a di questo non fu dimorato molto con la sua mona Onesta, che se ne innamorò fuori di misura, né poteva vivere qualunque volta la vedeva stare trista et havere alcuno dispiacere. Haveva mona Onesta portato in casa di Roderigo, insieme con la nobilità et con la belleza, tanta superbia che non ne ebbe mai tanta Lucifero; et Roderigo, che aveva provata l'una et l'altra, giudicava quella della moglie superiore; ma diventò di lunga maggiore, come prima quella si accorse dello amore che il marito le portava; et parendole poterlo da ogni parte signoreggiare, sanza alcuna piatà o rispetto lo comandava, né dubitava, quando da lui alcuna cosa gli era negata, con parole villane et iniuriose morderlo: il che era a Roderigo cagione di inestimabile noia.


Pur nondimeno il suocero, i frategli, il parentado, l'obligo del matrimonio et, sopratutto, il grande amore le portava gli faceva havere pazienza. Io voglo lasciare ire le grande spese, che, per contentarla, faceva in vestirla di nuove usanze et contentarla di nuove fogge, che continuamente la nostra città per sua naturale consuetudine varia; ché fu necessitato, volendo stare in pace con lei, aiutare al suocero maritare l'altre sue figluole: dove spese grossa somma di danari. Dopo questo, volendo havere bene con quella, gli convenne mandare uno de' frategli in Levante con panni, un altro in Ponemte con drappi, all'altro aprire uno battiloro in Firenze: nelle quali cose dispensò la maggiore parte delle sue fortune. Oltre a di questo, ne' tempi de' carnasciali et de' San Giovanni, quando tutta la città per antica consuetudine festeggia et che molti cittadini nobili et richi con splendidissimi conviti si honorono, per non essere mona Onesta all'altre donne inferiore, voleva che il suo Roderigo con simili feste tucti gli altri superassi. Le quali cose tucte erano da lui per le sopradette cagioni sopportate; né gli sarebbono, anchora che gravissime, parute gravi a farle, se da questo ne fussi nata la quiete della casa sua et s'egli havessi potuto pacificamente aspettare i tempi della sua rovina. Ma gl'interveniva l'opposito, perché con le insopportabili spese, la insolente natura di lei infinite incommodità gli arrecava; et non erano in casa sua né servi né serventi che, nonché molto tempo, ma brevissimi giorni la potessino sopportare; donde ne nascevano a Roderigo disagi gravissimi per non potere tenere servo fidato che havessi amore alle cose sua; et, nonché altri, quegli diavoli, i quali in persona di famigli haveva condotti seco, più tosto elessono di tornarsene in inferno a stare nel fuoco, che vivere nel mondo sotto lo imperio di quella.


Standosi adunque Roderigo in questa tumultuosa et inquieta vita, et havendo per le disordinate spese già consumato quanto mobile si haveva riserbato, cominciò a vivere sopra la speranza de' ritracti, che di Ponente et di Levante aspettava; et havendo anchora buono credito, per non mancare di suo grado, prese a cambio. Et girandogli già molti marchi adosso, fu presto notato da quegli, che in simile exercizio in Mercato si travaglano. Et essendo di già il caso suo tenero, vennero in un sùbito di Levante et di Ponente nuove come l'uno de' frategli di mona Onesta s'haveva giucato tutto il mobile di Roderigo, et che l'altro, tornando sopra una nave carica di sue mercatantie sanza essersi altrimenti assicurato, era insieme con quelle annegato. Né fu prima publicata questa cosa che i creditori di Roderigo si ristrinsono insieme; et giudicando che fussi spacciato, né possendo anchora scoprirsi per non essere venuto il tempo de' pagamenti loro, conclusono che fussi bene osservarlo così dextramente, acciò che dal detto al facto di nascoso non se ne fuggissi. Roderigo, da l'altra parte, non veggiendo al caso suo rimedio et sapiendo a quanto la leggie infernale lo costringeva, pensò di fuggirsi in ogni modo. Et montato una mattina a cavallo, abitando propinquo alla Porta al Prato, per quella se ne uscì. Né prima fu veduta la partita sua, che il romore si levò fra i creditori, i quali ricorsi ai magistrati, non solamente con i cursori, ma popularmente si missono a seguirlo. Non era Roderigo, quando se gli lievò drieto il romore, dilungato da la città uno miglo; in modo che, vedendosi a male partito, deliberò, per fuggire più segreto, uscire di strada et atraverso per gli campi cercare sua fortuna. Ma sendo, a fare questo, impedito da le assai fosse, che atraversano il paese, né potendo per questo ire a cavallo, si misse a fuggire a piè et, lasciata la cavalcatura in su la strada, atraversando di campo in campo, coperto da le vigne et da' canneti, di che quel paese abonda, arrivò sopra Peretola a casa Gianmatteo del Brica, lavoratore di Giovanni del Bene, et a sorte trovò Gianmatteo che arrecava a casa da rodere a i buoi, et se gli raccomandò promettendogli, che se lo salvava dalle mani de' suoi nimici, i quali, per farlo morire in prigione, lo seguitavano, che lo farebbe ricco et gliene darebbe innanzi alla sua partita tale saggio che gli crederrebbe; et quando questo non facessi, era contento che esso proprio lo ponessi in mano a i suoi aversarii. Era Gianmatteo, anchora che contadino, huomo animoso, et giudicando non potere perdere a piglare partito di salvarlo, liene promisse; et cacciatolo in uno monte di letame, quale haveva davanti a la sua casa, lo ricoperse con cannucce et altre mondigle che per ardere haveva ragunate. Non era Roderigo apena fornito di nascondersi, che i suoi perseguitatori sopradgiunsono et, per spaventi che facessino a Gianmatteo, non trassono mai da lui che lo havessi visto; talché passati più innanzi, havendolo invano quel dì et quell'altro cerco, strachi se ne tornorno a Firenze. Gianmatteo adunque, cessato il romore et tractolo del loco dove era, lo richiese della fede data. Al quale Roderigo dixe: - Fratello mio, io ho con teco un grande obligo et lo voglo in ogni modo sodisfare; et perché tu creda che io possa farlo, ti dirò chi io sono. - Et quivi gli narrò di suo essere et delle leggi avute allo uscire d'inferno et della moglie tolta; et di più gli dixe il modo, con il quale lo voleva arichire: che insumma sarebbe questo, che, come ei sentiva che alcuna donna fussi spiritata, credessi lui essere quello che le fussi adosso; né mai se n'uscirebbe, s'egli non venissi a trarnelo; donde arebbe occasione di farsi a suo modo pagare da i parenti di quella. Et, rimasi in questa conclusione, sparì via.


Né passaron molti giorni, che si sparse per tutto Firenze, come una figluola di messer Ambruogio Amidei, la quale haveva maritata a Bonaiuto Tebalducci, era indemoniata; né mancorno i parenti di farvi tucti quegli remedii, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa di san Zanobi et il mantello di san Giovanni Gualberto. Le quali cose tucte da Roderigo erano uccellate. Et, per chiarire ciascuno come il male della fanciulla era uno spirito et non altra fantastica imaginazione, parlava in latino et disputava delle cose di philosophia et scopriva i peccati di molti; intra i quali scoperse quelli d'uno frate che si haveva tenuta una femmina vestita ad uso di fraticino più di quattro anni nella sua cella: le quali cose facevano maraviglare ciascuno.


Viveva pertanto messer Ambruogio mal contento; et havendo invano provati tucti i remedi, haveva perduta ogni speranza di guarirla, quando Gianmatteo venne a trovarlo et gli promisse la salute de la sua figluola, quando gli vogla donare cinquecento fiorini per comperare uno podere a Peretola. Acceptò messer Ambruogio il partito: donde Gianmatteo, fatte dire prima certe messe et facte sua cerimonie per abbellire la cosa, si accostò a gli orechi della fanciulla et dixe: - Roderigo, io sono venuto a trovarti perché tu mi osservi la promessa. - Al quale Roderigo rispose: - Io sono contento. Ma questo non basta a farti ricco. Et però, partito che io sarò di qui, enterrò nella figluola di Carlo, re di Napoli, né mai n'uscirò sanza te. Farà'ti alhora fare una mancia a tuo modo. Né poi mi darai più briga. - Et detto questo s'uscì da dosso a colei con piacere et ammirazione di tucta Firenze.


Non passò dipoi molto tempo, che per tutta Italia si sparse l'accidente venuto a la figluola del re Carlo. Né vi si trovando rimedio, avuta il re notitia di Gianmatteo, mandò a Firenze per lui. Il quale, arrivato a Napoli, dopo qualche finta cerimonia la guarì. Ma Roderigo, prima che partissi, dixe: - Tu vedi, Gianmatteo, io ti ho observato le promesse di haverti arrichito. Et però, sendo disobligo, io non ti sono più tenuto di cosa alcuna. Pertanto sarai contento non mi capitare più innanzi, perché, dove io ti ho facto bene, ti farei per lo advenire male. - Tornato adunque a Firenze Gianmatteo richissimo, perché haveva avuto da il re meglo che cinquantamila ducati, pensava di godersi quelle richeze pacificamente, non credendo però che Roderigo pensassi di offenderlo. Ma questo suo pensiero fu sùbito turbato da una nuova che venne, come una figluola di Lodovico septimo, re di Francia, era spiritata. La quale nuova alterò tutta la mente di Gianmatteo, pensando a l'auctorità di quel re et a le parole che gli haveva Roderigo dette. Non trovando adunque quel re a la sua figluola rimedio, et intendendo la virtù di Gianmatteo, mandò prima a richiederlo semplicemente per uno suo cursore. Ma, allegando quello certe indispositioni, fu forzato quel re a richiederne la Signoria. La quale forzò Gianmatteo a ubbidire. Andato pertanto costui tutto sconsolato a Parigi, mostrò prima a il re come egli era certa cosa che per lo adrietro haveva guarita qualche indemoniata, ma che non era per questo ch'egli sapessi o potessi guarire tucti, perché se ne trovavano di sì perfida natura che non temevano né minacce né incanti né alcuna religione; ma con tutto questo era per fare suo debito et, non gli riuscendo, ne domandava scusa et perdono. Al quale il re turbato dixe che se non la guariva, che lo appenderebbe. Sentì per questo Gianmatteo dolore grande; pure, facto buono cuore, fece venire la indemoniata; et, acostatosi all'orechio di quella, humilmente si raccomandò a Roderigo, ricordandogli il benificio factogli et di quanta ingratitudine sarebbe exemplo, se lo abbandonassi in tanta necessità. Al quale Roderigo dixe: - Do! villan traditore, sì che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu poterti vantare d'essere arichito per le mia mani? Io voglo mostrare a te et a ciascuno come io so dare et tòrre ogni cosa a mia posta; et innanzi che tu ti parta di qui, io ti farò impiccare in ogni modo. - Donde che Gianmatteo, non veggiendo per allora rimedio, pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via. Et facto andare via la spiritata, dixe al re: - Sire, come io vi ho detto, et' sono di molti spiriti che sono sì maligni che con loro non si ha alcuno buono partito, et questo è uno di quegli. Pertanto io voglo fare una ultima sperienza; la quale se gioverà, la vostra Maestà et io areno la intenzione nostra; quando non giovi, io sarò nelle tua forze et harai di me quella compassione che merita la innocentia mia. Farai pertanto fare in su la piaza di Nostra Dama un palco grande et capace di tucti i tuoi baroni et di tutto il crero di questa città; farai parare il palco di drappi di seta et d'oro; fabbricherai nel mezo di quello uno altare; et voglo che domenica mattina prossima tu con il clero, insieme con tucti i tuoi principi et baroni, con la reale pompa, con splendidi et richi abiglamenti, conveniate sopra quello, dove celebrata prima una solenne messa, farai venire la indemoniata. Voglo, oltr'a di questo, che da l'uno canto de la piaza sieno insieme venti persone almeno che abbino trombe, corni, tamburi, cornamuse, cembanelle, cemboli et d'ogni altra qualità romori; i quali, quando io alzerò uno cappello, dieno in quegli strumenti, et, sonando, ne venghino verso il palco: le quali cose, insieme con certi altri segreti rimedii, credo che faranno partire questo spirito. -


Fu sùbito da il re ordinato tutto; et, venuta la domenica mattina et ripieno il palco di personaggi et la piaza di populo, celebrata la messa, venne la spiritata conducta in sul palco per le mani di dua vescovi et molti signori. Quando Roderigo vide tanto popolo insieme et tanto apparato, rimase quasi che stupido, et fra sé dixe: - Che cosa ha pensato di fare questo poltrone di questo villano? Crede egli sbigottirmi con questa pompa? non sa egli che io sono uso a vedere le pompe del cielo et le furie dello inferno? Io lo gastigherò in ogni modo. - Et, accostandosegli Gianmatteo et pregandolo che dovessi uscire, gli dixe: - O, tu hai facto il bel pensiero! Che credi tu fare con questi tuoi apparati? Credi tu fuggire per questo la potenza mia et l'ira del re? Villano ribaldo, io ti farò impiccare in ogni modo. - Et così ripregandolo quello, et quell'altro dicendogli villania, non parve a Gianmatteo di perdere più tempo. Et facto il cenno con il cappello, tucti quegli, che erano a romoreggiare diputati, dettono in quegli suoni, et con romori che andavono al cielo ne vennono verso il palco. Al quale romore alzò Roderigo gli orechi et, non sappiendo che cosa fussi et stando forte maraviglato, tutto stupido domandò Gianmatteo che cosa quella fussi. Al quale Gianmatteo tutto turbato dixe: - Oimè, Roderigo mio! quella è móglata che ti viene a ritrovare. - Fu cosa maraviglosa a pensare quanta alterazione di mente recassi a Roderigo sentire ricordare il nome della moglie. La quale fu tanta che, non pensando s'egli era possibile o ragionevole se la fussi dessa, senza replicare altro, tutto spaventato, se ne fuggì lasciando la fanciulla libera, et volse più tosto tornarsene in inferno a rendere ragione delle sua actioni, che di nuovo con tanti fastidii, dispetti et periculi sottoporsi al giogo matrimoniale.


Et così Belfagor, tornato in inferno, fece fede de' mali che conduceva in una casa la moglie. Et Gianmatteo, che ne seppe più che il diavolo, se ne ritornò tutto lieto a casa.


venerdì 8 febbraio 2008

CARO AMORE DI MILLE ANNI FA...

la bambina che ti ha dato questa lettera si chiama Dira. Le ho detto di consegnartela e di fartela leggere appena giunto, prima di venire da me. Fino all'ultima riga. Non cercare di mentirle. Con quella bambina non si puo' mentire.Siediti allora. E ascoltami.
Non so come hai fatto a trovarmi. Questo e' un posto che quasi non esiste.Ho ricevuto le tue lettere, e non è stato facile leggerle. Si riaprono con dolore le ferite del ricordo. Se io avessi continuato, qui, a desiderarti e ad aspettarti, quelle lettere sarebbero state abbagliante felicita'. Ma questo e' un posto strano. La realta' sfuma e tutto diventa memoria. Perfino tu, a poco a poco, hai cessato di essere un desiderio e sei diventato un ricordo.
Io ti ho amato Andre', e non saprei immaginare come si possa amare di piu'. Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse tutto in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perche' il desiderio di te era piu' forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita, non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginare il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, ne di fermarti. Sapevo che l'avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E' scoppiata tutto di un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.Poi sono arrivata qui. E questo non è facile da spiegare. Questo è un posto dove prendi commiato da te stesso. Quello che sei, ti scivola addosso, a poco a poco. E te lo lasci dentro passo dopo passo, su questa riva che non conosce tempo e vive un solo giorno, sempre quello. Il presente sparisce e tu diventi memoria. Sgusci via da tutto, paure, sentimenti, desideri: li custodisci, come abiti smessi, nell'armadio di una sconosciuta saggezza, e di un'insperata pace.
Riesci a capirmi? Riesci a capire come tutto questo sia bello? Se riesci a capire tutto questo, mi crederai quando ti dico che mi è impossibile pensare al futuro. Il futuro è un idea che si è staccata da me. Non è importante. Non significa più nulla. Sarà la quiete di un tempo immobile, che collezionerà istanti da posare uno sull'altro, come se fossero uno solo.
Io non ti seguiro'. Non mi ricostruiro' nessuna vita, perche' ho appena imparato ad esser la dimora di quella che è stata la mia. E mi piace. Non voglio altro. Le capisco, le tue isole lontane, e capisco i tuoi sogni, i tuoi progetti. Ma non esiste più una strada che mi potrebbe portare laggiù. Perdonami mio amato amore, ma non sarà mio, il tuo futuro.
C'è un uomo in questo luogo, che ha un buffo nome e studia dove finisce il mare. In questi giorni mentre ti aspettavo, gli ho raccontato di noi e di come avessi paura del tuo arrivo e insieme voglia che tu arrivassi.E' un uomo buono e paziente. Mi stava ad ascoltare. E un giorno mi ha detto : "Scrivetegli" Lui dice che scrivere a qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male. Ed io ti ho scritto.Tutto quello che ho dentro di me l'ho messo in questa lettera. Lui dice, l'uomo col nome buffo, che tu capirai. Dice che leggerai, poi uscirai sulla spiaggia e camminando sulla riva del mare ripenserai a tutto, e capirai. Durerà un ora o un giorno, non importa. Lui dice che salirai le scale, aprirai la mia porta e senza dirmi nulla mi prenderai fra le braccia e mi bacerai.Lo so che sembra sciocco. Ma mi piacerebbe succedesse davvero. E' un bel modo di perdersi, perdersi uno nelle braccia dell'altro. Niente potrà rubarmi il ricordo di quando, con tutta me stessa, ero lì.

tua Ann


OCEANO MARE ( Baricco )
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IL MARE, IL MARE HA UN SEGRETO
Vi racconto una storia. Una storia che raccontano tutti qui quando sull’amore scende un sipario.Non so bene chi fu il primo tra noi a dire di loro, ma fa lo stesso. L’importante è che si dica. In questo luogo dimenticato, su una costa di un mare sconosciuto, abitiamo in pochi – noi- molto pochi, e le voci corrono, il tempo è senza tempo e quest’orizzonte blu è l’unica cosa che ci separa dal resto del mondo. Comunque la storia è un’altra. La storia è questa, se volete ascoltare.
Era bella, lei, quasi da non credere quanto lo fosse. E aspettava. Ogni giorno, nello stesso punto di sabbia impallidito dalla luce del sole, lei si sedeva e aspettava. Non era certo un mistero chi, non per noi. Aveva voce alta in lei la nostalgia, come una tenaglia, abisso feroce che inghiotte gli ultimi ricordi, istanti vissuti pelle a pelle, ferita bruciata da gocce di sale. Se n’era andato, non sapeva più quando. Per il mare era partito. Quando? Non lo ricordava più tanto era il tempo senza tempo che le passava accanto. Le aveva detto:"Vado in mare, quello oltre il confine che ci separa dal mondo. Tornerò diverso, ma il cuore, no, batterà per te come adesso." Così era partito, non si sapeva più nemmeno quando. Così aveva detto. Questo lo ricordava – lei - che se ne stava sempre nello stesso punto. La stessa sabbia, quella che il sole aveva impallidita.Trascorsero giorni, notti, infine stagioni. Il mare non lo riportava, anzi, sembrava che onda dopo onda lo allontanasse da quel luogo dimenticato. Da quell’oceano senza nome. Lei era bella, sì. Era più bella di quel giorno in cui un sapore venuto da lontano se l’era preso. Ma ha un segreto il mare, forse solo questo, chi lo sa. Ruba i pensieri e li disperde se lo guardi per guardarlo fisso. Ti soffia aria nuova in petto se lo respiri profondamente. Ti colora lo sguardo. Lo accende di blu e la marea che ti sale dentro, quando si ritira, tutto ti ha cancellato. Forse, solo questo mare lo fa, chi lo sa. E lei smise di aspettare. Scrisse qualcosa per lui prima di andare. Scrisse: "Caro amore, sono stata qui ad aspettarti tanti giorni e tante notti da diventare stagioni. Thomas viene sempre a pescare su questa spiaggia e a parlare col vento, che dice ti risponda se lo ascolti bene. Ma a me non ha mai risposto. Il mare è mutato infinite volte da quando sei partito. Lo guardavo, fisso, e cambiava sempre. A poco a poco sembrava cambiasse anche me. Mi è entrato dentro, lo sento. Credo capiti se lo guardi così a lungo. Adesso sono diversa. Non ci sarò quando tornerai. Ho scoperto il segreto del mare e me ne vado. Tua…" Le lasciò a Thomas quelle parole, il più anziano tra i pescatori. Poi, partì con le onde ad accompagnarle i passi.
Su quella stessa spiaggia, raccontano tutti, un giorno lui se ne stava a guardare il mare, fisso. Di fianco, il pescatore, che tirava su reti parlando col vento - che in vero, ora spiego, rispondeva solo a lui perchè ne conosceva il linguaggio - e scrisse: “Caro amore, sono tornato ma tu non ci sei. Il mare ti ha portata via. Ti è entrato dentro e ora sei diversa e anche il tuo cuore lo è. Guarderò il mare come lo hai guardato tu. Cambierà come lo hai visto cambiare tu. Non conosco ancora il suo segreto. Ma credo sia un buon posto questo per dimenticare. Tuo…”
Ecco la storia che raccontiamo noi qui. Qui, dove il tempo è senza tempo, l’orizzonte ci divide dal resto del mondo, le voci corrono quando sull’amore scende un sipario. E il mare, il mare ha un segreto…
SARA

venerdì 1 febbraio 2008

GLI AMORI ORALI

Il mio vissuto emotivo, soprattutto recentemente, ha fatto luce su come alcuni di quelli che molti credono “amori folli”, altro non sono che veri e propri rapporti di dipendenza, dove nulla centra il concetto di Amore inteso come libera espressione dell’individuo all’interno di un rapporto di coppia.Ad ogni persona, corrisponde una individualità nell’amare a seconda delle condizioni che stabilisce nell’amare, degli impulsi che soddisfa attraverso l’amore, e negli scopi che si stabilisce di raggiungere attraverso di esso. Ciascun essere umano quindi: “ama a modo proprio” e si esprime a modo proprio, stabilendo rapporti con il sesso opposto a seconda di quella che è la propria realtà interna nello sviluppo emotivo.Da qui la differenziazione ( per quanto possibile ) dei diversi caratteri patologici e delle loro caratteristiche principali, anche se ricordiamo, che da soggetto a soggetto si possono cogliere sfumature assai diverse.Dunque, ritornando al discorso degli “amori folli”, questi non sono che la combinazione perfetta di patologie che interagiscono tra loro generando un rapporto di dipendenza affettiva dal quale molti per lo più riescono faticosamente a staccarsi.Nello specifico sto parlando di individui che non avendo un’alta concezione di Sé e sentendosi “inadeguati alla vita” con tutte le sue responsabilità e la crescita personale che da esse deriva, si attaccano morbosamente a coloro che possono rappresentare una sorta di “nutrimento”( protezione) fino stabilire una quasi totale fusione con essi. In questo tipo di relazione c’è sempre una delle due persone che “ama dare troppo” e un’altra “che pretende troppo”. Ma in entrambi i casi “l’amore” che sia inteso come donare, o che sia inteso come pretesa, rappresenta esclusivamente un’arma per rendere dipendente l’altro e colmare “un vuoto affettivo”, un “vuoto interiore”.Ciò che accumuna questo tipo di personalità è la paura di crescere, sentendosi incapaci di avere una propria autonomia e una propria INDIVIDUALITA’ che prescinda dalla relazione che hanno instaurato. Da qui nasce il desiderio d’identificarsi ( simbiosi ) con la persona amata, di sentirsi “qualcuno” in grado di prendersi delle responsabilità e di far fronte alla vita solo ed esclusivamente se insieme a chi li sappia “accompagnare” e “nutrire”: la loro consapevolezza di essere umani, delle loro qualità e della loro forza è spesso data dalla misura in cui riescono a “ricevere” o “dare” all’interno del rapporto. Per questo, di norma, interrotto uno, sono subito alla ricerca di un altro che possa soddisfare a pieno le loro necessità .Il dipendente dedica tutto di sé all’altro (sopportando anche qualsiasi tipo di “umiliazione”) pur di perseguire esclusivamente il suo benessere e non anche il proprio, come dovrebbe essere in una relazione "sana". In questo caso, quindi, “dare” o “sopportare” ha la finalità di rendere anche l’altro dipendente, solo e sempre “nostro”. Non è infatti in nome dell’amore che certe situazioni o comportamenti distruttivi da parte del partner vengono accettati, ma solo in nome di quella dipendenza dalla quale non riescono a fare a meno.Come osserva A. Lowen nel suo libro : “Il linguaggio del corpo” riferendosi al “carattere orale”: […] Il modello dominante di comportamento di tali soggetti è determinato da tendenze orali. Da una parte, abbiamo le osservazioni del pazienti sui sentimenti, radicati in profondità, di solitudine, di delusione e d’ impotenza; dall’altra c’è il narcisismo, l’evidente bisogno di approvazione e il desiderio di essere nutrito: “il mondo mi deve necessariamente sostentamento” . […] così che il loro “ti amo” assume il significato di : “voglio che tu mi ami a tutti i costi”.Un altro elemento distintivo del “carattere orale” è il desiderio di parlare e dal piacere di parlare. Ama molto parlare di sé, generalmente mettendosi in luce favorevole, ma anche talvolta svalutandosi agli occhi altrui, poiché sa che è comunque un mezzo efficace per suscitare tenerezza, attenzione e amore.Di nuovo A. Lowen osserverà: […] Il carattere orale è il tipo che si “avvinghia come l’edera” e divora l’altro a “morsi”. Nei casi estremi è il tipo che pare assorbire la forza e l’energia altrui. Un’altra caratteristica predominante del carattere orale sono le sensazioni di vuoto interiore, sensazioni presenti in ogni caso autentico, indipendentemente dal comportamento superficiale che egli assume. Anche se esiste un rapporto amoroso, è spesso, se non sempre, presente il senso di solitudine. Per tale ragione non è definibile come “fedele” in continua ricerca com’è di approvazione e sostegno da parte degli altri: […] Il bisogno di approvazione e di affetto è così grande che egli non può e non riesce a corazzarsi, la sua dipendenza crea un’estrema sensibilità all’ambiente e alla persona amata. La sua tolleranza alla tensione è molto bassa ed è piuttosto incline a crisi di pianto. Il suo principio di realtà scarsamente sviluppato. Il suo interesse è narcisistico, grandi le sue esigenze e limitata la sua reazione. Si aspetta comprensione e amore ed è oltremodo sensibile alla freddezza del partner. La dipendenza è grande, ma è spesso mascherata da ostilità. […]

Ogni tipo di rapporto che getta basi come queste per il proprio sostentamento risulta essere fallimentare o altamente distruttivo per le persone coinvolte.In base alle mie esperienze, posso dire che non è facile riconoscere, soprattutto all’inizio, la natura di certi tipi di rapporti confondendoli il più delle volte con: “amori dal legame profondo”, forse mai provato.Quello che è certo, comunque, è che ognuno di noi è costantemente alla ricerca di un “compagno di vita”, qualcuno da poter prendere per mano e con cui costruire un avvenire, ma la vera realizzazione con l’altro, avviene se per primi ci sentiamo realizzati/affermati noi come individui distinti, autonomi e liberi, capaci di crescere anche con le nostre proprie gambe.Stordirsi impegnando energie e tempo in una relazione che serve solo a colmare un vuoto ( una solitudine profonda ) che sentiamo dentro, creando una dipendenza con l’altro, diventa solo un modo per non affrontare “noi stessi” e la vita, e porta come conseguenza inevitabile alla conservazione del nostro stato di “non crescita” a livello personale, emotivo o sociale.L’ amore significa, a mio parere, provare una spinta autentica verso l’altro per ciò che egli è, non per ciò che vorremmo fosse legato alla nostra sete di controllo e dipendenza su/da esso.Gli “amori orali” , se così si possono definire, non sono nient’altro che: “catene a cui mantenersi ancorati abili a renderci ostaggio di noi stessi”.
SARA