giovedì 13 dicembre 2007

NON fate RUMORE Fate STASERA

Sola, all’ombra di te,
sola.
Non hanno più senso
le maiuscole del cuore
a scandire dettagli
di occhi, di pianti.

- Non fate rumore
Fate stasera,
ché lui già
mi dorme nell’incanto
che era. -

E nuvola passa
come tutto sai,
passa.
Non hanno verso
le mie minuscole vuote,
due dita più in là
al di là del cuore.

E una nuvola passa,
come tutto poi…passa
insieme a me

qui, sola di te.

giovedì 6 dicembre 2007

SINO ALL'ULTIMO SOSPIRARE DEL VENTO


Io non lo so com’è che

da qualche parte nel tempo

mutino speranze in facili rinunce,

ma sento fitte di nostalgia

turbarmi l’anima stasera che

potrei morire infinite volte

scrivendo versi per te.


Io lo so che per metà son fatta di cielo

e ho in destino cammini di stelle

verso il mattino, eppure se mi guardassi

con gli occhi di chi sa far bella una donna,

cosa sarebbe una nuvola dove posare pensieri.


E' da chiamarsi ladro il tempo che

t’ha allontanato senza permesso

o scuse per riaverti mio, perché

fosse anche nel silenzio di uno sguardo,

solo ora parlerei d’amore

sino all’ultimo sospirare del vento.
SARA

lunedì 26 novembre 2007

COLTA IN FLAGRANZA DI REATO


Lo sguardo si posa al di là del parco che costeggia la strada di fronte.Slitta tra gli alberi, le case, s’insinua nei vicoli stretti, attraversa gli odori dei cesti di frutta sui banchi del mercato. Scova il peccato. E cade.Cade sul verde di un portone al civico ventidue. S’incolla. Ci si strofina come una gatta affamata che elemosina gli avanzi della sua vita perduta. Poi sprofonda.Senza alcuna voglia lascia che una sigaretta s’incolli al labbro inferiore mentre a tratti gli occhi vanno nascondendosi dietro il buio delle palpebre. Come se certi particolari potesse scorgerli più evidenti se sottratti alla luce del giorno.




Lei sale le scale. Un movimento ripetuto quasi tutti i giorni, per anni.Non si volta mai, anche se dovrebbe farlo, Elisa. Dovrebbe almeno per cancellare le tracce di quel reato consumato alle spalle dell’altra sua esistenza.Ogni passo in avanti, lei lo sa, è un po’ di sé abbandonata in quella penombra che le sfalsa l’armonia del vivere e che a volte, pensa, vorrebbe si trasformasse nella colpa di qualcun altro.


Per un attimo lui riapre gli occhi. Ma solo per un attimo, quasi a riprendere fiato e non perdersi la breve sequenza di quella vita che sente ancora appartenergli tra le pareti da dove Elisa è fuggita via.Poi, di nuovo, il buio gli investe la vista per continuare a vedere…





E’ dietro la porta ormai. L’uomo può addirittura scorgerne l’odore. Sa che esiterà ancora prima di bussare. Si sta passando freneticamente la mano tra i capelli, permette ad un bottone di liberarle il bel seno adesso. E’ un rito che lui conosce bene, di cui ha compreso il senso tanti anni fa. E’ una fibra della sua pelle che si apre totalmente alla possibilità di respirare ciò che di più puro e corrotto ci sia nel suo angolo di mondo.Non può più attendere l’uomo dietro la porta. Anche i minuti sono essenziali quando vengono rubati al tempo che non è complice di certi inganni.Là dietro c’è un corpo a cui non rinuncerebbe mai e che è il profilo esatto di tutto l’amore che si è lasciato scivolare tra le dita troppo spesso, pensa.




Lui ha ancora gli occhi chiusi. Il sapore della sigaretta si mischia all’amarezza che gli sta scivolando nella gola come un veleno in grado di paralizzargli i muscoli. Crede che se proverà a muoversi andrà in frantumi proprio come parte della vita che non è riuscito a salvare.Una volta comprò per Elisa un abito da sera in occasione di una cena di lavoro organizzata dalla sua banca. Andava fiero di quella bellezza incontaminata e del tutto inconsapevole della moglie. Ogni cosa di lei gli ricordava l’ingenuità di una bambina, dal modo di pettinarsi a quello con cui facevano l’amore. E quel vestito che le confinava alla perfezione il corpo era per lui la certezza che quella donna era sua, che la conosceva bene, sotto la carne e fin dove lui era potuto arrivare a toccarla.Lei puntò gli occhi nei suoi attraverso lo specchio e disse: “Mi sembra di averti addosso”. Sorrise.Lui ha ancora lo sguardo immerso nel buio, caduto sul verde di un portone al civico ventidue.




L’uomo e la donna si abbracciano, ma non per molto. Hanno fretta di lacerarsi le carni, mordersi, leccarsi, graffiarsi, stremarsi, afferrare le ore in cui sono stati lontani. Lasciarsi.Le bocche s'impastano e danzano l’una sull’altra al ritmo caldo dei baci. Nessun particolare dei loro incontri è mai scontato. Tutto è ripetitivo e sempre allo stesso modo importante. La dolcezza con cui l’uomo le accarezza il viso, la voglia improvvisa che lo attanaglia e gli spezza il fiato quando lei lascia cadere il vestito per terra e i sessi cominciano a cercarsi. Lui ama distenderla sul letto e ascoltarne il respiro calmo per accenderlo facendosi strada tra quelle gambe da dove si libera il desiderio. Elisa è una donna che vuole essere consumata piano ma con l’impazienza della bambina davanti a un regalo che non può aspettare di essere scartato domani.E anche questo l’uomo lo sa. Anche questo lo ha imparato infilandosi in qualche piega della sua anima mentre facevano l’amore, quando lei sembrava distante e lui la riportava a sé con la prepotenza del corpo fino a farla diventare piccola. Tanto piccola da sentirla rannicchiarsi tra le sue braccia, indifesa.




Ma come fa a sopportare tutto questo? Come fa?Se lo domanda ogni giorno lui. Anche adesso che ripassa a memoria le scene di quell’amore che non riesce a contrastare con il suo. Eppure un tempo credeva che ad Elisa il loro matrimonio bastasse. Era convinto che tutto il mondo fosse lì, e che per lei non esistessero altri sapori da cercare fuori dalle pareti di casa. Ma ora c’era quell’uomo sulla soglia delle loro vite, anzi, ci abitava dentro, tra le lenzuola, la cucina, i pranzi, le cene, sugli scaffali, dietro i mobili. Era ovunque perché lei lo aveva fatto entrare senza nemmeno chiedergli il permesso. Era ovunque perché aveva trovato una crepa tra i loro corpi perfettamente disarmonici. E adesso c’era da chiedersi chissà da quanto. Forse era accaduto in un momento in cui lui si era distratto e come succede in questi casi ci si pente sempre di essersi voltati per quel breve istante, quell’unico istante in cui saresti dovuto esserci, e non c’eri. Ma è tardi ormai.“ Scendo a portare la macchina dal meccanico”. Oggi la scusa è questa.Chissà se l’uomo al di là del parco la ama, si domanda. E accenna un sorriso triste di chi ha appena scoperto di non avere sogni.




Elisa respira a fatica sotto il peso dell’uomo che sta per morire di piacere stretto nella morsa delle sue gambe. Lo fissa, lo sfida, perché in quel corpo c’è tutta la speranza di un domani che non sa ancora contenere. Poi il duello ha termine, i respiri si calmano di nuovo. L’uomo le scivola affianco avvolgendola con il braccio come fa di solito. L’accarezza ripetutamente lungo i fianchi, sulla schiena liscia e madida, vuole assicurarsi che lei sia lì, che non sia altrove come a volte ha la sensazione che accada. Ma lei c’è. E’ rimasta anche per quell’uomo solo nella camera da letto di casa sua che sente seguirla col pensiero mentre s’abbandona sul petto di un altro. E per un attimo, forse per la prima volta, ne ha quasi vergogna.Si stringe più forte che può contro il corpo di lui, si contorce, lo annusa, struscia il viso sulla pelle ruvida del suo. Sta cercando qualcosa Elisa, qualcosa che non sa spiegarsi nemmeno lei. Forse un punto dove sentirsi al sicuro da tutto, una fessura nascosta sul corpo dell’uomo a cui aggrapparsi per sentirsi libera.“Io ti amo” le sussurra scostando una ciocca dei capelli dalla guancia.E lei adesso è più perduta che mai.




Lui poggia la fronte sul vetro freddo della finestra come volesse riprendere coscienza di sè. Lo sguardo abbandona il civico ventidue, ripercorre il mercato, attraversa gli odori dei cesti di frutta, passeggia tra gli alberi del parco che costeggia la strada di fronte e precipita nuovamente nella camera da letto, sua e di Elisa. Guarda l’orologio.L’uomo sta per rivestirsi e anche lei lo sta facendo con l’ansia di chi deve occultare gli indizi di un delitto.Lui non è più lì a guardarli, non li sta spiando da dietro la vetrina della loro intimità appartato nel buio, ma continua a scorgere ogni dettaglio col pensiero.Dovrebbe dirle che sa. Pensa da giorni che dovrebbe dire che sa. In fondo perché tacere. Tacere è un po’ come tradire Elisa a sua volta e lui non vuole un’ intera vita costruita sul tradimento.“So che vai da un altro uomo” le avrebbe detto, forse urlato, questo non lo sapeva. “Lo so e basta. Non ti ho mai seguita, non vi ho mai visti insieme. Ma quante volte me lo hai confessato, cara Elisa. Quante volte. Mentre lavavi i piatti, ti sistemavi i capelli prima di uscire, quando mi sorridevi e non sorridevi per me, in quei silenzi scesi fitti come pioggia a renderci sempre più estranei, in un rossetto che non ho mai visto, sulla pieghe di un vestito che non indossi più, in una tazzina del caffè. Era sulla punta della tua lingua ogni mattina Elisa, piccola Elisa, e lo ingoiavi come una pillola dal gusto amaro ogni sera quando mi davi la buonanotte. Io lo so, lo so e basta.”




Una donna è appena uscita da un portone verde. Cammina a passo svelto per i vicoli, il mercato, il parco. Sta per tirare fuori dalla borsa un mazzo di chiavi. Sale le scale. Un gesto ripetuto ogni giorno, per anni. E’ dietro la porta ormai. L’uomo può addirittura scorgerne l’odore. Sa che esiterà ancora prima di entrare. Si sta passando freneticamente la mano in mezzo ai capelli, permette ad un bottone di fasciarle il bel seno adesso. E’ un rito che lui conosce bene, di cui ha compreso il senso anni fa. E’ una fibra della sua pelle che si chiude totalmente alla possibilità di respirare quanto di più puro ci sia nel suo angolo di mondo, che si prepara all’inevitabile.Non ha fretta l’uomo dietro la porta. Abbozza un sorriso triste di chi ha appena perduto il suo ultimo sogno. Tra poco la donna entrerà e allora non ci sarà più nulla da dire.

SARA

venerdì 23 novembre 2007

Dire è bene, specificare è meglio...

Ho descritto Sara, nel mio libro, come una delle eteree Sirene di Klimt, ma lei è anche un po' gatta, è tutto e il contrario di tutto...
Per ora la vedo così...
Insomma, non mi sembra una pura narcisista una ragazza capace di inquadrare con poche parole la parte più intima degli altri. Una vera egocentrica non vedrebbe se stessa con tanta lucidità, ma solo un'immagine che le conviene!
Quindi Sara, le parole che ho detto non ti dipingono quanto invece farebbero gli occhi di chi ti sa vedere in tutto quello che sei...

Un bacione,
Jacopo
******************************
Caro Jacopo, apprezzo davvero quanto scrivi, ma sul fattore "narcisismo" credi a me ne so fin troppo. Se comunque riesco ad analizzare con poco e in poco tempo le personalità altrui ( anche sbagliando, sicuramente ), è vero, è anche perchè posseggo la capacità di analizzarmi profondamente visto il lungo e tortuoso percorso fatto a braccetto con me stessa. Diciamo che sono: "una Narcisa con la vista a raggi X".
Ti voglio bene.
SARA*
* P.S. : stai notando il modo di firmarmi??? e poi di che questo non è narcisismo!!
Mannaggia.

mercoledì 21 novembre 2007

A PROPOSITO DI SARA

Sara mi ha proposto di intervenire nel suo blog..
Non credo che il mio editore sarebbe favorevole ad un post che mostra i miei scritti inediti (oddio come suona fica questa frase!), ma posso dirvi cosa percepisco di Sara...
Lei è una creatura polimorfa, misteriosa, introspettiva, narcisista, egocentrica, genuina, impulsiva, passionale, ammaliatrice, volitiva... Insomma, è complicata 'sta donna!!!

Vi terrò aggiornati!

Baci, Jacopo..
***************************
Meglio che ne sorrida, per quanto difficile:
...e ci sarebbe molto di più da dire...tutto ciò che è riportato in questo link è troppo generico, ogni caso è ricco di sfumature.
Posso solo confermare che alla domanda che più spesso mi hanno rivolto, ho risposto: "tradire me stessa".
La domanda in questione era: "cos'è che temi di più in assoluto?".
Grazie Jacopo.
SARA

lunedì 19 novembre 2007

IL LUPO DELLA STEPPA ( H. HESSE)

"SOLO PER PAZZI"

SCHIZOFRENIA, DOLOROSA GENIALITA’:
[...]" E quando in certe anime particolarmente intelligenti e delicatamente organizzate balena l'intuizione della loro molteplicità, quando, come fa ogni genio, esse infrangono l'illusione dell'unità personale e sentono di essere pluriformi, di essere un fascio di molti IO, basta che lo dicano e tosto la maggioranza le imprigiona, ricorre all'aiuto della scienza, fa constatare la loro schizofrenia, e protegge l'umanità perchè non debba ascoltare dalle labbra di questi infelici un richiamo alla verità. Ma che bisogno c'è di sprecar parole, di dire cose che chiunque pensi trova naturali, che però non sta bene manifestare?
Quando dunque un uomo arriva già a sdoppiare la pretesa unità dell'io è già quasi un genio, in ogni caso però un'eccezione rara e interessante."
[...] "Egli crede, come Faust di Goethe, che due anime siano troppe per un solo petto e pensa che lo debbano dilaniare. Sono invece troppo poche e Harry fa violenza alla sua povera anima quando cerca di comprenderla in un'immagine così primitiva. Benchè sia persona così colta, Harry si comporta come un selvaggio che non sappia contare più in là di due. Una parte di sè la chiama uomo, l'altra parte lupo, e con ciò crede di aver finito e di aver esaurito il suo compito. Nell'"uomo" egli caccia tutto quello che ha in sè di spirituale, di sublimato o per lo meno di culturale, e nel "lupo" tutto ciò che ha di istintivo, di selvatico e di caotico. Ma la vita non è semplice come il nostro pensiero, grossolana come il nostro povero linguaggio di idioti, e Harry mente due volte a stesso quando usa questo metodo lupino da negri. Il petto, un corpo è infatti sempre uno, le anime che vi albergano non sono due o cinque, ma infinite; l'uomo è una cipolla formata di cento bucce, un tessuto di cento fili".
**********************************************
«Come ogni forza può (in certe circostanze deve) diventare una debolezza, così viceversa il suicida tipico può fare della sua debolezza apparente molte volte una forza e un sostegno, anzi lo fa molto spesso. Uno di questi casi era quello di Harry, il lupo della della steppa. Come migliaia di suoi pari egli faceva dell'idea che la via della morte gli era sempre aperta davanti a sé non solo un giuoco di fantasia giovanile e malinconico, ma precisamente un conforto e un appoggio. È vero che, come in tutti gli uomini di questo genere, ogni commozione, ogni dolore, ogni penosa situazione della vita suscitava in lui il desiderio di sottrarvisi con la morte. Ma a poco a poco questa inclinazione gli si tramutò in filosofia favorevole alla vita. L'assiduo pensiero che quell'uscita di soccorso era continuamente aperta gli dava forza, lo rendeva curioso di assaporare dolori e malanni, e quando stava proprio male gli capitava di pensare con gioia rabbiosa, come si trattasse di un male altrui: "Sono curioso di vedere fin dove arriva la sopportazione umana! Una volta raggiunto il limite del tollerabile mi basta aprire la porta e sono salvo".»

**********************************
"… Il lupo della steppa aveva quindi due nature, una umana e una da lupo: era questo il suo destino e può darsi che non fosse poi così strano e inconsueto. Si vedevano in giro molte persone che in sè avevano molto del cane o della volpe, del pesce o del serpente, e non per questo incontravano gravi difficoltà. In queste persone l’uomo conviveva con la volpe, con il pesce, e nessuno dei due faceva male all’altro, anzi si aiutavano. Invece per Harry era diverso, in lui l’uomo ed il lupo non convivevano fianco a fianco ne tantomeno si aiutavano: si odiavano a morte continuamente, l’uno viveva per far del male all’altro, e quando due vivono come nemici mortali in un corpo e in un’anima, la vita è difficile.
Esistono non pochi uomini simili a Harry; specialmente molti artisti appartengono a questa categoria. Costoro hanno in sé due anime, due nature, hanno un lato divino e uno diabolico, il sangue materno e il sangue paterno, e le loro capacità di godere e di soffrire sono così intrecciate, così ostili e confuse tra loro come in Harry il lupo e l’uomo. E questi uomini la cui vita è molto irrequieta hanno talvolta nei rari momenti di felicità sentimenti così profondi e indicibilmente belli, la schiuma momentanea della bellezza spruzza così alta e abbagliante sopra il mare del loro dolore, che quel breve baleno di felicità s’irradia anche su altri e li affascina. Così nascono, preziosa e fugace schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d’arte nelle quali un uomo che soffre s’innalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare a chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità. Tutti questi uomini, qualunque siano le loro gesta e le loro opere, non hanno veramente alcuna vita, vale a dire la loro vita non è un’esistenza, non ha una forma, essi non sono eroi o artisti o pensatori come altri possono essere calzolai, giudici, medici o maestri, ma la loro vita è un moto eterno, una mareggiata penosa, è disgraziatamente e dolorosamente straziata, paurosa e insensata, quando non si voglia trovarne il significato proprio in quei rari avvenimenti e fatti, pensieri e opere che balzano luminosi sopra il caos di una simile vita. Tra gli uomini di questa specie è nato il pensiero pericoloso e terribile che forse tutta la vita umana è un grave errore, un aborto della Madre primigenia, un tentativo della Natura orribilmente fallito. Tra loro però, è nato anche quell’altro pensiero, che cioè l’uomo non è forse soltanto un animale relativamente ragionevole ma un figlio degli dei destinato all’immortalità. "

***********************

Il lupo della steppa trotta solo

solo, nel mondo ormai di neve bianco...

Dalla betulla scende un corvo stanco,

ma non vedo una lepre, un capriolo!

oh come voglio bene ai caprioli!

Poterne trovar uno, oh bella cosa!

Vi affonderei la bocca mia bramosa:

non v'è nulla che tanto mi consoli.

E con amor, con affezion sincera,

delle tenere carni farei strazio,

finché di sangue veramente sazio

a urlare andrei dentro la notte nera.

Anche una lepre basterebbe, via!

Dolce ha la carne pel mio gusto bruto...

Possibile che tutto abbia perduto

quel che abbelliva un dì la vita mia?

È grigio ormai della mia coda il pelo,

e già la vista mi s'annebbia e oscura,

sono anni che mia moglie è in sepoltura,

ed una lepre, un capriolo anelo.

Vado a caccia di lepri, trotto e sogno

all'invernale sibilo del vento,e ingozzo neve,

neve, finché ho spento la mia sete,

e do l'anima al demonio.

H. Hesse

AFORISMI


La realtà è solo una macchia sull'infinita pellicola del sogno.

Conduco un'esistenza sola divisa in tante realtà. Queste realtà non s'incotrano mai e spesso nemmeno io con loro.

Non chiedetemi di essere me stessa, non saprei da quale delle tante parti cominciare.

L'esistenza umana è appena una sillaba nel grande libro della memoria del mondo.


Non basterebbero mille contraddizioni a spiegare chi sono.

Solo gli stolti ricercano l'ordine. I geni dominano e si ritrovano nel Kaos.

Il mare è Donna pericolosa, seducente e misteriosa. Anche se in alcuni punti: limpida.

Il destino di ognuno di noi è fatto di qualche imprevisto e molte scelte.


I passi di ogni oggi tracciano i cammini di tutti i domani.

Ultimamente mentre vivevo un amore, ho sempre avuto l'impressione che l'Amore fosse altrove.

Non esistono cose che non si pensano dette solo per rabbia. Esistono cose che si pensano e non si direbbero mai se non si fosse arrabbiati.

Noi aspiriamo sempre a quello che non abbiamo. Sebbene quel niente sia lì ad aspirare noi.

Alcuni giudicano folli coloro che parlano da soli. Io dico che hanno soltanto imparato il linguaggio del vento.

SARA

venerdì 16 novembre 2007

TINA BLONDELL


MAURITIUS ESCHER














GIOVANNI BOLDINI ( Ferrara 31/12/1842 - 11/01/1931 )













AFORISMI

- Lasciamo le belle donne agli uomini senza fantasia. M. Proust
- Siamo tutti costretti, per rendere sopportabile la realtà, a coltivare in noi qualche piccola pazzia. M. Proust
- Si ama solo ciò che non si possiede del tutto. M. Proust
- I computer sono inutili, possono dare solo risposte. P. Picasso
- Se vuoi che la gente pensi bene di te, non parlare bene di te stesso. B. Pascal
- Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. E. A. Poe
- L'ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili; il pessimista sa che è vero. O. Wilde
- Posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni. O. Wilde
- Il malcontento è il primo passo verso il progresso. O.Wilde
- Sogna come se dovessi vivere per sempre; vivi come se dovessi morire oggi. O.Wilde
- Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze. O. Wilde
- Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero. O.Wilde
- Amare sè stessi è l'inizio di un idillio che dura una vita. O.Wilde
- La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo. V. Woolf
- Si vive una sola volta. E qualcuno neppure una. A. Woody
- Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile. A. Woody
- Che cosa non mi piace della morte? Forse l'ora. A. Woody
- La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli. Aristotele
- Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo. Aristotele
- Se c'è soluzione, perché ti preoccupi? Se non c'è soluzione, perché ti preoccupi?
Aristotele
- L'arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentarle con novità. U. Foscolo
- L'avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge. U. Foscolo
- Scherzando si può dire di tutto, anche la verità. S. Freud
- L'umorismo è il più eminente meccanismo di difesa. S. Freud
- Non è sempre facile dire la verità, specialmente quando si deve essere brevi.
S. Feud
- L'immaginazione è più importante della conoscenza. A. Einstein
- La differenza tra un genio e uno stupido è che il genio ha dei limiti. A. Einstein
- Non penso mai al futuro, arriva così presto. A. Einstein
- Tutto è relativo. Prendi un ultracentenario che rompe uno specchio: sarà ben lieto di sapere che ha ancora sette anni di disgrazie. A. Einstein
- È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. A. Einstein
- Se il diavolo non esiste, ma l'ha creato l'uomo, credo che egli l'abbia creato a propria immagine e somiglianza. F. Dostoevskij
- Il segreto dell'esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive. F. Dostoevskij
- La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce. J. Rousseau
- Dio è l'invisibile evidente. V. Hugo

lunedì 12 novembre 2007

VERGOGNA

Non avevo intenzione di pubblicare nuovi post per un pò di tempo, ma visti gli ultimi accadimenti " calcistici" ho sentito il forte bisogno di esporre in breve il mio pensiero.
Tutto ciò che è accaduto va al di là della partita, della tifoseria etc etc… Chiudere gli stadi risolve solo una piccola parte del problema. In tal modo si impedisce unicamente ai tifosi di avere uno scopo e un luogo per riunirsi ( compattarsi ) ed esprimere la loro violenza, la loro forza, rendere lecita un'aggressività repressa. Non è un fenomeno che si è presentato solo all’interno degli stadi, ma è dilagato anche all’esterno come abbiamo notato. Le cause di questi episodi vanno ricercate nel perché i giovani ( e purtroppo non solo quelli, si trattasse sempre di adolescenti...!!) sentono la necessità di riunirsi in “branchi” - non gruppi di tifoserie calcistiche poiché la partita a questo punto “poco centra” - pronti ad insorgere ad ogni minima controversia.
Il calcio è diventato un pretesto per dare sfogo alla violenza e lo stadio ne è solo il palcoscenico, uno dei tanti, direi.
Non c’è da chiedersi chi ha ragione e chi ha torto, chi ha agito correttamente o meno, quanto possa contare la politica o il business. Questi sono fattori piuttosto marginali del problema, seppur esistenti e comunque influenti.
La vera domanda è: “perché la violenza come strumento di espressione/comunicazione?”.
Personalmente ciò che provo per coloro che fanno di uno sport uno scenario così orrendo, o addirittura una "fede" ( ma ci rendiamo conto di quanto si osanni un semplice gioco??? )da seguire contro tutto e tutti, è vera, incontenibile vergogna.

martedì 6 novembre 2007

...

QUESTO BLOG PER UN PO' SARA' INATTIVO.

STO PENSANDO DI APRIRE UN SITO ALTROVE.

UN SALUTO A TUTTI

SARA

lunedì 5 novembre 2007

DOMANI IMPARERO' IL VERSO DEL MARE



Non ho imparato mai il verso del mare,

neppure dal fondo di una conchiglia

naufragata su spiagge deserte,

ma dice abbia gli occhi di mia madre bambina,

quell’onda ribelle sfuggita all’oceano

quando il sole annega dietro una pozzanghera blu.

Mi dice: “Sembri donna in veste d’autunno,

in posa come sposa inginocchiata all’altare

che senza cura si lascia sfiorire d’amore”.

Chissà se ieri ha creduto non m’amassi più,

se di nascosto solleva i miei pensieri in corsa,

forse scivolati via da qualche zona d’ombra,

come scappassero da chi, cercassero poi cosa…

Ma domani, domani imparerò il verso del mare,

perché qualcun altro sappia di me davvero

…non solo il vento ansioso d’andare.

SARA

mercoledì 31 ottobre 2007

BAUDELAIRE

IL GATTO
Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l'agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere

la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
s'inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.
Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo,

amabile bestia, taglia e fende simile a un dardo,
e dai piedi alla testa un'aria sottile,
un temibile profumo
ondeggiano intorno al suo corpo bruno.
***********************************
TRISTEZZE DELLA LUNA
Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera:
come una bella donna su guanciali profondi,
che carezzi con mano disattenta e leggera
prima d'addormentarsi i suoi seni rotondi,
lei su un serico dorso di molli aeree nevi
moribonda s'estenua in perduti languori,
con gli occhi seguitando la apparizioni lievi
che sbocciano nel cielo come candidi fiori.
Quando a volte dai torpidi suoi ozi una segreta
lacrima sfugge e cade sulla terra,
un poeta nottambulo raccatta con mistico fervore
nel cavo della mano quella pallida lacrima
iridescente come scheggia d'opale
e, per sottrarla al sole, se la nasconde in cuore.

NON SO PIU' SCRIVERE D'AMORE

Non so più scrivere d’amore,
perché dell’amore ho dimenticato il senso
e non un volto serbo dentro
a curare mancanze antiche e ricorrenti.
Oggi tollero il digiuno senza chiedere
quando mi vestirò la pelle
d’odori sconosciuti che ad ogni respiro
rubano aria alla ragione.
Troppe volte ho creduto sole pugni di lucciole,
esibendo stendardi vanagloriosi,
saggiando poi quanto impietoso sia
il tempo dei rimpianti, e chi in principio
ispirò i miei versi vaga ora
per acque torbide di disillusioni,
come spoglia esanime che persino
una madre non potrebbe mai distinguere.
Non conosco del mio cuore
più di quanto esso lasci intendere
e se tace, allora riscoprirò Poesia
anche nel suono lieve di una foglia che cade.

SARA 2004


martedì 30 ottobre 2007

ALMENO VOI STELLE, NON DIMENTICATEMI

[...] " Non ci sarà dunque, per le cose che sono,
non la morte, bensì un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così come un perdono?"
( HO PENA DELLE STELLE - F.Pessoa)

Quando di me non saprà dire
che il vento o quanti per lui
mi sfilarono accanto nel clamore
di nostalgica vita andata,
e avrà smarrito la memoria
in ardua ricerca l’ umana sembianza
del mio essere stata,
allora non resterà che a me
ricordare quel grembo di mondo
che ospitò il passaggio lieve
a cui alcuno fece più ritorno.
Non vi sarà che cielo a raccogliere
i miei passi, terra senza orizzonte
a riempire gli sguardi.

Almeno voi stelle, non dimenticatemi.
SARA

IL VIOLINISTA PAZZO


Non fluì dalla strada del nord
nè dalla via del sud
la sua musica selvaggia per la prima volta
nel villaggio quel giorno.
Egli apparve all'improvviso nel sentiero,
tutti uscirono ad ascoltarlo,
all'improvviso se ne andò, e invano
sperarono di rivederlo.
La sua strana musica infuse
in ogni cuore un desiderio di libertà.
Non era una melodia,
e neppure una non melodia.
In un luogo molto lontano
in un luogo assai remoto,
costretti a vivere, essi
sentirono una risposta a questo suono.
Risposta a quel desiderio
che ognuno ha nel proprio seno,
il senso perduto che appartiene
alla ricerca dimenticata.
La sposa felice capì
d'essere malmaritata,
l'appassionato e contento amante
si stancò di amare ancora,
la fanciulla e il ragazzo furono felici
d'aver solo sognato,
i cuori solitari che erano tristi
si sentirono meno soli in qualche luogo.
In ogni anima sbocciava il fiore
che al tatto lacia polvere senza terra,
la prima ora dell'anima gemella,
quella parte che ci completa,
l'ombra che viene a benedire
dalle inespresse profondità lambite
la luminosa inquietudine
migliore del riposo.
Così come venne andò via.
Lo sentirono come un mezzo-essere.
Poi, dolcemente, si confuse
con il silenzio e il ricordo.
Il sonno lasciò di nuovo il loro riso,
morì la loro statica speranza,
e poco dopo dimenticarono
che era passato.
Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poichè la vita non è voluta,
ritorna nell'ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,
improvvisamente ciascuno ricorda -
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere -
la melodia del violinista pazzo.


F. Pessoa



"Mi perdo se mi incontro, dubito se trovo, non possiedo se ho ottenuto.Come se passeggiassi, dormo, ma sono sveglio.Come se dormissi, mi sveglio, e non mi appartengo.In fondo la vita è in se stessa una grande insonnia e c'è un lucido risveglio brusco in tutto quello che pensiamo e facciamo."
F.Pessoa




In qualche luogo i sogni diventeranno realtà.

C'è un lago solitario illuminato dalla luna

per me e per te come nessuno per noi soli.

Lì la scura bianca vela spiegata in un vago vento

non sentito guiderà la nostra vita-sonno

laddove le acque si fondono in un lido di neri alberi,

dove i boschi sconosciuti vanno incontro

al desiderio del lago di essere di più e rendono il sogno completo.

Là ci nasconderemo e svaniremo,

tutti vanamente al confine della luna,

sentendo che ciò di cui siamo fatti è stato qualche volta musicale.

( LICANTROPIA - F. Pessoa )

venerdì 26 ottobre 2007

LE SEDIE DI VAN GOGH






















La genesi dei dipinti è legata al corso del soggiorno di Van Gogh ad Arles.
Qui, infatti, l'artista trascorse un periodo in compagnia dell'amico e pittore Paul Gauguin, durante il quale accarezzarono l'idea di formare un circolo artistico d'avanguardia che avrebbe preso il nome di "Studio del Sud". In attesa di Gauguin ma anche in sua compagnia, Van Gogh si dedicò spesso alla raffigurazione di interni come "La camera di Vincent ad Arles":
- Sedia VAN GOGH ( V. Van Gogh - 1888)
- Sedia GAUGUIN ( Van Gogh - 1888 )
************************************************
Londra, The Trustees of the National Gallery
Il dipinto fa pendant con La sedia di Gauguin: quella di Van Gogh è collocata in una luce diurna, l’altra in un ambiente notturno. Così, nel dipinto con la sedia di Van Gogh appaiono una natura morta di cipolle in germoglio a sinistra e la pipa, mentre sulla sedia dell’amico sono dei libri e una candela, apparentemente inutile viste le lampade a gas che sono appese al muro. Mentre il pavimento della stanza di Van Gogh è di nudi mattoni rossi, a suggerire la propria natura severa e il carattere del suo studio che aveva arredato sobriamente, «alla Daumier», quello della stanza dell’amico - arredata da Vincent come «un boudoir per signora veramente artistico» - è ricoperto da un tappeto.In una lettera al critico Albert Aurier del 12 febbraio 1890 Van Gogh attribuiva al dipinto con la sedia di Gauguin un valore premonitore: «Qualche giorno prima di dividerci, allorché la malattia mi ha costretto a ricoverarmi in una casa di cura, ho tentato di dipingere “il suo posto vuoto”. È uno studio della sua poltrona di legno bruno-rossiccio, con il sedile in paglia verdastra, e - al posto dell’assente - un candelabro acceso e alcuni romanzi moderni».


MOSTRA DI GAUGUIN AL VITTORIANO:

THE COMPLETE POEMS


Invidio i Mari, sui quali Egli naviga
-Invidio i Raggi delle Ruote
Dei Carri, che Lo trasportano -
Invidio le Ondulate Colline
Che scrutano il Suo viaggio -
Com'è facile per tutti vedere
Quel che è proibito totalmente
Come il Cielo - a me!

Invidio i Nidi dei Passeri -
Che punteggiano le Sue remote Grondaie -
La Mosca opulenta, sui Suoi Vetri
-Le felici - felici Foglie -
Che appena oltre la Sua Finestra
Hanno dall'Estate il permesso di giocare
-Gli Orecchini di Pizarro
Non potrebbero ottenerlo per me -
Invidio la Luce - che Lo sveglia -
E le Campane - che suonano con forza
Per dirgli che è Mezzogiorno,
là fuori -Io stessa - fossi il Mezzogiorno per Lui -

Eppure precludo - la mia Fioritura
-E abolisco - la mia Ape -
Affinché il Mezzogiorno
nella notte eterna -
Non precipiti Gabriele - e me -

Emily Dickinson

***************************************************
HO SOLO LE MIE PAROLE

Ho solo le mie parole,
un giorno qualunque
montate in sella al vento
per venirti a cercare
tra folle confuse di genti
che ora sanno di te,
per sempre perduto e rimpianto
in tacite sere d'inverno,
seduta al buio per soffocare
quell'ultimo brivido che ci lega.
Se mi leggessi l'anima
che detta versi disordinati,
aggrappata a lembi di cielo pensili
pur di sfiorare il tuo pensiero
diretto in volo chissà dove,
ti pulserei dentro come
desidero sia, ché sono per te
pause e boccate a cuore aperto
di fiato, malumori e gioie
che nemmeno credevo di poter sentire.
Ma forse, altri mormoreranno
le mie parole, che instancabili
seguitano a narrare
una fiaba senza lieto fine
incisa sulla bocca del vento
...per Gabriele e me.
SARA

NUVOLE...

Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa.
Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.
Nuvole… Corrono dall'imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all'avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l'ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.
Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto
sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso.
Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
Nuvole… Continuano a passare,alcune così enormi ( poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione ) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell'aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.
Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l'ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l'universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto.
Nuvole… Esse sono tutto,crolli dell'altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti.
Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l'oscurità, finzioni dell'intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.
Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.


LI,33 Fernando Pessoa

giovedì 25 ottobre 2007

RIMBAUD e VERLAINE : UNA STAGIONE ALL'INFERNO

« Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso, ragionato disordine di tutti i sensi. »

A. Rimbaud
***********************************
"Voglio essere poeta, e lavoro per rendermi veggente: Lei non comprenderà affatto, e io non sarei quasi in grado di spiegare. Si tratta di pervenire all’ignoto attraverso lo sregolamento di tutti i sensi. Enormi sono le sofferenze, ma bisogna essere forte, essere nato poeta, ed io mi sono riconosciuto poeta. Io non ne ho per niente colpa. È falso dire:Io penso. Si dovrebbe dire: Mi si pensa. Perdoni il gioco di parole.
IO è un altro."

( Lettera al Prof. Georges )


SENSAZIONE

Nelle azzurre sere d'estate,

io andrò per i sentieri,

punzecchiato dal grano,

a pestare l'erba minuta:

Sognatore, io ne sentirò la frescura ai piedi.

Io lascerò che il vento bagni il mio capo nudo.

Io non parlerò,

io non penserò a nulla:

ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,

e io andrò lontano, molto lontano,

come uno zingaro, nella Natura, -

felice come se fossi con una donna.

A. Rimbaud (Marzo 1870)


Il "grande e radioso peccato" ha occhi tersi e lucenti e le sembianze del ragazzo sporco e bellissimo. "Puzzava di genio", racconta chi ha potuto sfiorarlo. Quando Arthur Rimbaud, impolverato e ricco solo del suo tumultuoso talento, sbarca a Parigi, non ha ancora compiuto diciassette anni, ed è già fuggito di casa tre volte. Viaggia senza bagaglio e in tasca ha soltanto, spiegazzata, la lettera di Verlaine: " Venite, cara grande anima, vi chiamiamo, vi aspettiamo." gli aveva scritto il poeta in risposta a una missiva in cui il giovanissimo Rimbaud, traboccante d'ammirazione, gli chiedeva un incontro.


E' una domenica di settembre del 1871. Comincia quel giorno il più crudele e il più feroce dei ménage, fatto di turpidini, estasi, ricatti, fughe, ritorni, minacce di suicidio, carezze date col coltello. E colpi di pistola: " Ci amiamo come tigri"spiegherà Verlaine.Il devastatore della quiete famigliare ha "la faccia di bambola" e uno sguardo azzurro e alto, di una purezza inquietante. I capelli sono incolti, arruffati, sporchissimi, le mani arrossate, i pantaloni color lavagna troppo corti per un adolescente cresciuto in fretta. Verlaine s'innamora all'istante di quel "volto perfettamente ovale di angelo in esilio" , scriverà, e di quelle "potenti labbra rosse con la loro smorfia malevola".


Rimbaud suscita eccitazione febbrile quando mette piede per la prima volta in un cenacolo della Rive Gauche: "Si è esibito un poeta terrificante, meno che diciottenne, di nome Arthur Rimbaud. Grandi mani, grandi piedi, una faccia veramente da bambino che starebbe bene a un tredicenne, profondi occhi azzurri, selvaggio più che timido". Uno dei poeti presenti lo definisce:" Gesù in mezzo ai dottori". Un altro:"il diavolo!". "A me venne in mente una descrizione migliore:Satana in mezzo ai dottori." annota stupefatto Valade. Ma satana in mezzo ai dottori per Verlaine è una splendida figura da adorare e fra i due la passione divampa immediata. Un tormento per il poeta sposato, una forma di martirio volontario, un' ascesi, una disciplina estetica per il poeta fanciullo che gli consentirà di scrivere i suoi capolavori mantenendo limpida la propria innocenza.


Il loro amore è percorso da brividi di sadismo. Rimbaud, man mano che passano i mesi, sembra compiacersi di fare del male a Verlaine, terrorizandolo ed esaltandolo insieme. A un tavolino del Cafè du Rat Mort lo colpisce alle mani con un coltello affilato facendolo sangiunare copiosamente davanti a tutti. Uno dei giochi erotici che praticano a casa è la lotta armata: si affrontano ognuno munito di coltello avvolto in un asciugamano e il loro abbraccio è una morsa che si scioglie tra graffi e tagli sanguinanti: "Ci amiamo come tigri", ripete orgoglioso Verlaine maculato di lividi e di escoriazioni. Vivono in completa simbiosi: in quel periodo le loro calligrafie sono identiche; se sovrapposte addirittura coincidono. Sembrano essere scritte dallo stesso pugno ferito.


Fra alti e bassi, abissi di disperazione e sempre più rari lampi d'estasi, la situazione precipita nel luglio 1873 a Bruxelles, con un Verlaine che minaccia di ammazzarsi. Ha comprato un revolver ed è in un albergo con Rimbaud e sua madre. Il giovane poeta è stanco del rapporto vittima-cernefice, di quel vagabondare, stanco dell'instabilità di quella relazione, vuole andarsene, vuole finirla lì. Con un gesto di sfida annuncia al compagno che nel pomeriggio intende tornare da solo a Parigi. " Provati a uscire e vedrai quel che succede, t'insegno io a voler partire", Verlaine tira fuori la rivoltella ed esplode tre colpi contro Rimbaud. Il primo gli penetra il polso gli altri due si conficcano nella parete. Vedendo il fanciullo ferito solo leggermente, Verlaine gli mette in mano la pistola implorando di ammazzarlo. Lo calmeranno, si calmeranno, ma qualche ora più tardi ricomincia la tragedia. Verlaine minaccia di nuovo di sparare a Rimbaud in mezzo alla strada. Ora "l'angelo in esilio" ha paura davvero e chiede aiuto a un poliziotto. La vicenda si concluderà con l'incarcerazione di Verlaine condannato a due anni e nove giorni di ospedale per Rimbaud.


Dichiarazione di Rimbaud al commissario di polizia: http://www.arthurrimbaud.it/docum.html


Genio sull'orlo del baratro, a vent'anni dice per sempre addio alla letteratura. Non gli interessa più. Dopo aver spinto la parola ai suoi limiti estremi, il più scandaloso dei poeti maledetti, lascia, abbandona, cambia mestiere. Incontra per l'ultima volta Verlaine, da poco uscito di prigione, due anni più tardi a Stoccarda. In quell'occasione gli consegna il manoscritto che poi diventerà le : Illuminazioni. Verlaine lo farà pubblicare undici anni dopo ma Rimbaud non lo verrà mai a sapere.


LA PREGHIERA DELLA SERA


Vivo seduto, come un angelo

fra le mani d'un barbiere,

impugnando una tazza di birra dalle grosse

scannellature, tesi il collo e l'ipogastro,

con una pipa Gambier tra i denti,

sotto i cieli gonfi d'impalpabili vele.

Come escrementi caldi d'un vecchio colombaio,

mille sogni fanno in me dolci ustioni:

e, tratto tratto, il mio cuore triste

è come un alburno insanguinato

dall'oro giallo e cupo delle scolature.

Poi, quando ho ringhiottito

i miei sogni con cura, mi volgo,

dopo aver bevuto trenta o quaranta tazze,

e mi raccolgo per dar sfogo all'acre bisogno.


Mite come il Signore del cedro e degli issopi,

io piscio verso i cieli bruni,

molto in alto e lontano,

col consenso dei grandi eliotropi.

A. Rimbaud


"POETI DALL'INFERNO" ( film 1995 ):

http://www.ire-land.it/totaleclipse/home.html