venerdì 7 ottobre 2011

Whisky


… oltrepassò la scogliera, branchi di delfini e tonni sulla scia di Titani laminati. Superò regioni di laghi ,boschi, aroma di abeti, olmi, pioppi, rocce piegate da torrenti in discesa piena.  Portava con sé tutte le fatiche di viaggi prima: cose perse, dimenticate, alcune ritrovate. La distrasse un richiamo stavolta, aldilà dell’oro chino dei girasoli, più giù, più giù ancora, tra vallate fresche di viole in margherite. Si (ri)posò su uno steccato lungo quanto il suo sguardo verde.
Avvertì un odore di cane avanzare, senza muovere un muscolo, un balzo. Lo vide scodinzolare sorrisi tra l’erba alta, terreni infossati di radici. Vide il suo tartufo nero fiutare passaggi di selvaggina, puntare brusco  l’aria delle nuvole, dove si fanno nere di pioggia e minacce. Proprio sopra l’orizzonte a mangiarsi un po’ di cielo, pesantemente. Aveva pelo tricolore, il cane, un’armonia di forme robusta, forte. Da cacciatore senza resa. Contraeva un bagliore profondo negli occhi, un bagliore che la colpì, lassù, sullo steccato.
Furono attimi, forse di più. Forse, furono incontri di Cuore, passati troppo in fretta. Di camminate invernali per prati cittadini illuminati a sera, sottovento. O anche Casa. Ore di noia accucciate su un divano, a cercarsi carezze l’un l’altro, con la punta delle dita, sull’estremo della coda.
Ricordò tutto di quel cane, il suo. Lune prima, stagioni fa. Ne ricordò esatto lo strappo altezza petto nel tempo del saluto. Un Picasso originale, ma dal contorno regolare, morbido.
Di nuovo venne un richiamo d’uomo, prima dei girasoli, viole, margherite. Scattò lo sguardo via dallo steccato, il cane, ma il corpo no. Fu un momento, uno solo, poi il bagliore tornò. Alla Fenice.
C’era un brivido che formicolava tra le piume fuocoporpora. Allora, distese il ventaglio d’ali arroventando l’erba. Lenta nell’avvicinarsi, così lui. Un passo dopo l’altro in direzione precisa. E restò.
Sotto la pioggia, tra le radici e quel sempre-caro-odore, la Fenice si riposò.

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