lunedì 10 ottobre 2011

Un Principio, una Fine




…seguì una geografia di stelle, tra le tante, una di cui riconosceva nubolose, pianeti nel buio millenario ed altri in fiamme, vivi. La seguì fino al pallore del sole, quello malato di città, che si staglia alto, sì, ma dai raggi incapaci  al blu inquinato,  a smog d’uomo, sempre controtempo. Frenetico.
Viaggiò sul pelo di fiume giallo, sotto ponti, cavalcavia a file d’auto “indiane” con la fretta nel motore, ai contachilometri e alla vita arrogante, più di urgenze che d’importanze.
Si ripeté i luoghi che non avrebbe più visitato, come le genti, gli sguardi, gli abbracci, il suo sempre-caro-cane ripreso dalla pioggia, orme e fango. Si ripeté anche che i viaggi si inaugurano sempre con un addio, ma alle volte, c’è bisogno ritornino a quello. Perché il senso di ciò che trovi comincia da quel che hai lasciato.

Aveva noia ormai di palazzi, case tanto regolari, vetrine in serie e pupazzi di carne mossi dalle ore, dai secondi, e dal vuoto. Prese quindi a pedinare l’odore della frutta e delle spezie sui banchi di un mercato vicino. E lì, sulla cima metallica di un lampione, si (ri)posò.
Sentì una risata bambina avanzare in mezzo al caos, senza muovere un respiro, un balzo.
La vide stringersi piccola nel cappotto e nella mano della donna che ne educava il passo, un po’ ribelle, un po’ a zig zag. Osservò il foulard che sbucava qualche indizio grigio sulla fronte, occhi di un azzurro grande tra le rughe, ora marcate, ora serene, a seconda di come si rivolgeva al vento, quella donna.
Le vide selezionare mele, uva, pere e limoni maturi con le dita piccole prima,  sulla mano grande poi. Le vide giocare al banco della carne, ritrovarsi tra ceste di lattughe e indivia dopo una pannocchia, una risata. Ne seguì  il tragitto carico di buste fino a casa, e qui spogliarsi dal vento freddo sfregando palmi sopra fuoco a gas.  
Spiò la bambina e la donna farsi più grandi. Una ragazza e un’anziana dimentiche di caldarroste, giochi, fiabe, fate e dame pastello inventate su quadretti da elementare. Un paesaggio firma Monet, ma dai tratti definiti, netti. Come due distanze. Ognuna incalzando il suo verso: chi i ricordi, chi  principi di futuro.
Notò la ragazza smettere di cercare l’anziana e l’anziana rimpicciolire le ossa, le carni, ritirare la parola, così la memoria. Vide, infine, passi scalzi salire scale nelle ore appena nate di un diciassette ottobre,rapidamente. La ragazza e la nonna l’una di fronte all’altra. La ragazza in ginocchio, la nonna sul letto a tenersi la mano, un’ultima volta. Ah, quella mano grande! più di burro che grande, ora. Le vide sparire in quella mattina, piccole pic- co- le: la nonna senza vita, la ragazza senza nonna.  E si ricordò.
Si ricordò di loro. Ecco, ricordò qualcosa d’importante, un inizio di viaggio. Una di quelle cose a cui ritornare, a volte, per proseguire.  Sangue di sangue proprio, che nulla smentisce o cancella. L’Amore.
Allora, prese in un solo respiro tutto il Cuore rimasto di quel momento. Le uscì un grido come di chi  (ri)torna al mondo. Dolore e gioia, bene e male, paura e stupore. Aprì un ventaglio di piume fuocoporpora arroventando l’asfalto e se ne andò. Lontana da lì, dal principio e dalla fine, la Fenice, ancora se ne volò.

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