giovedì 25 agosto 2011

11 Maggio 2011

Io lo so bene come iniziano certi turbamenti, come si sta in alcuni casi, per alcuni mesi o anni, perché è da quando ne ho 16 che è iniziata una brutta, bruttissima avventura per me. All’epoca fui “salvata” da un’analista molto brava ed esperta del mio caso, che lentamente mi ha riportato a riscoprirmi “una forma” e alla Vita vera, quella fatta di sorrisi e piccoli grandi gioie, soddisfazioni, e anche dolori ( perché no?!) che mi stavo perdendo insieme e soprattutto a Me Stessa.
Ciò che non credevo e non sapevo è che ci sarebbe stato un tempo in cui sarei tornata ad essere quella persona che non mi piaceva, che si commiserava, e che come unica via di fuga vedeva “la rinuncia”. Punto.
Tutto questo è accaduto due mesi fa ormai.

Sono crollata ( la data la so esattamente ) l’ 11 di maggio. Non ho molto da raccontare riguardo ai motivi, ai giochi perversi che la mente crea a volte per farti scivolare giù, sempre più giù. L’essenziale è sapere che da un 11 di maggio ho smesso di vivere, di ridere ( davvero), di badare a me , ai miei cani, al mio lavoro… ad ogni cosa avesse importanza prima e credevo l’avesse sempre.
Ho trascorso ben dieci giorni dentro una casa buia senza più muovere un muscolo, un respiro, uno sguardo, sostenuta di continuo dai miei genitori, parenti e qualche amico coraggioso che non temeva il mio disagio. E in quel periodo ho purtroppo compiuto gesti contro la mia persona ( “ora curati da una Fenice al polso sinistro” ) che non hanno fatto altro, giustamente, che allarmare ancora di più le persone a me care. Potevo continuare a crogiolarmi in quello stato: sempre accudita, sorvegliata, sostenuta ( e di conseguenza “regredire” in realtà ) oppure decidere, come ho fatto, di farmi portare in un luogo dove altri mi potessero curare senza più ingombrare tanto pesantemente le vite attorno alla mia.
Sono stata in un clinica psichiatrica sei giorni. Di più non ho resistito.
Per quanto fosse stata mia volontà essere lì, per quanto fossi informata sugli effetti degli psicofarmaci ( mai presi fino a quel momento ) non credevo esistesse sul serio quel mondo “artificiale “ scoperto con amara meraviglia e di cui per tre giorni ho fatto parte.
A parte il primo giorno in cui dottori e dottoresse, tirocinanti intenti a preparare le loro tesi sulla depressione ( ecco, quella brutta parola ) non hanno fatto altro che chiamarmi da una stanza all’altra per ascoltarmi, parlarmi, comprendere cose che in fondo avevo già elaborato da me, in buona parte, dal secondo in poi ero un perfetto e orrendo zombie, imbottita di psicofarmaci tramite flebo a mattina e a sera, senza più nessuno che mi rivolgesse un: “come ti senti?” “come stai?”.
Oh, come la Senti Profondamente l’importanza di un’attenzione del genere in quei casi! Per quattro giorni, dicevo, passavo dal letto ( dormivo ) al bar della clinica, al giardino, senza più un’ anima. Nemmeno con la mia compagna di stanza riuscivo a scambiare due parole, nemmeno con mia madre che telefonava e con cui parlavo sì, ma a monosillabi.
Ebbene, al quarto giorno, effetto dello psicofarmaco che si stava assestando o meno, ho cominciato a riprendere una certa lucidità. Giravo nei corridoi, tra le stanze, il giardino e notavo solo gente senza sguardo, senza quasi Identità, Personalità. Annullati. Finiti. Solo qualcuno a volte era preso da parte per parlare da uomini e donne col camice bianco. La maggior parte di loro però se ne restava zitta e sola in un angolo, a fissare vuoti.
E’ stato allora che ho cominciato con cautela ad avvicinarmi ad alcuni/e per parlare, chiedere da quanto fossero lì, da quanto soprattutto qualcuno si occupasse di loro, non solo tramite aghi ficcati in vena o due pasticche, ma UMANAMENTE, con il dialogo, la parola, gesti di carità. Le risposte erano più o meno le stesse. Chi da più o meno tempo era stato “abbandonato” al farmaco, senza più poter esprimersi, tirar fuori grazie al sostegno di chi avrebbe dovuto: emozioni, pensieri, stati d’animo… o più semplicemente: la loro Storia.
Forse perché non sono una che si confonde facilmente alla massa, che quando qualcosa le brucia la deve tirar fuori e spesso “violentemente” tanto più ne è convinta, ma ho cominciato da quel giorno a rompere le palle a tutti ( direttrice del reparto compreso ) per farmi mandare via da lì, spiegando le mie ragioni. Spiegando ovvero che le Persone non possono essere trattate da non-persone solo perché non si vogliono problemi, non si vogliono responsabilità nel caso di gesti insani. Che la Dignità è l’unica cosa che innanzitutto in un posto come quello una persona dovrebbe recuperare e non perdere, e questo non lo si può fare con un farmaco che ti azzittisce la coscienza. Non sono una sprovveduta, so molto bene che alcuni casi gravi come la schizofrenia, la depressione bipolare etc etc… necessitano sicuramente di cure farmacologiche, ma il Potere della comunicazione, del contatto umano, della comprensione, dello svuotamento del dolore tramite una elaborazione lenta ma consapevole, non hanno prezzo! Volevano tenermi lì altre tre settimane. Come ho già detto sono riuscita a farmi lasciare libera dopo sei giorni.

Ecco, non sto a specificare oltre come sono passati e non passati dentro di me questi mesi. Dico solo che ci sono stati molti più bassi che alti e che alla fine quei 10 famosi chili hanno ( ho ) deciso di abbandonarmi/li perché il male in me continuava a resistere. Costante.
Solo pochissimi giorni fa, una mattina mi sono svegliata e ho realizzato che la vita di prima mi sfuggiva (uno dei miei cani ancora in una pensione, io che faticavo ad andare a lavorare, gli studi abbandonati… ) e non me lo potevo più permettere. Ho deciso che i chili che avevo fatto sloggiare dovevano tornare, che ogni cosa posseduta e amata doveva tornare insieme a Me Stessa, che si era persa di nuovo.
Camminavo sul pontile di Ostia un sabato sera, guardavo le luci lontane del porto, il mare in penombra, la spiaggia sola, gente che si abbracciava, sorrideva, strillava, ragazzi che si amavano. E ho pensato che non volevo più morire. Che valesse la pena continuare a Vivere anche un solo giorno per sentirmi Piena come mi sentivo in quell’attimo e che il mare, il mio amato mare, avrebbe aspettato ancora un bel po’ prima di accogliermi.
Ho deciso, in fine, che vorrei indossare quel camice bianco un giorno o l’altro. Ma deve essere il camice bianco di chi tramite la Sofferenza ha scoperto ancora più forte il valore dell’Essere Umano, dell’Amore, dei gesti d’Amore.

20/07/2011


Da pochissimo ho scoperto cosa vuol dire Sentire intensamente un abbraccio. Mai successo prima. Io non sentivo, cercavo solo di capire le cose. Oggi tutto ha un sapore nuovo per me. Dal cibo a ciò che il mio Cuore esprime e prova.
Sara

25/08/2011

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sento di lasciare un segno, lo faccio.

Niccolò

Sara Scialdoni ha detto...

Grazie del tuo passaggio.
Non so se sei il Niccolò che conosco o meno ( lo fossi capirai bene il significato della frase che sto per lasciare ), ad ogni modo dico, per quanto possa sembrare orrendo : "era ora che cadessi in depressione".
Un sorriso
Sara

Anonimo ha detto...

Non so quanti niccolò conosci, ma sono il niccolò rompiscatole che ti vuole bene, anche in silenzio.

Sara Scialdoni ha detto...

Ne conosco uno.E lo ringrazio.

Anonimo ha detto...

Ringrazio te. Oggi primo settembre sarà una bella giornata per me.
Quando vuoi batti un colpo. Ci sarò :-)

Serpente Piumato ha detto...

http://dany90dinozzo.wordpress.com/2011/08/19/essere-diversi/

Sara Scialdoni ha detto...

Tu hai perfettamente colto in pochissime parole cosa ha portato me, come tanti altri, a sviluppare nel tempo ciò che di grave ho raccontato: "la Finzione" verso se stessi per primi e di conseguenza con gli altri poi. Ma questo è un qualcosa che ha radici molto profonde nella vita di ognuno di noi. Si può dire "uno stile di comportamento in termini adattivi" che si assume dai primi anni di vita e va a radicarsi tempo dopo tempo che scorre.
Grazie del tuo passaggio qui
Sara